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La conferenza

All’Internet Festival di Pisa Patrick Zaki e Adriano Sofri: «La nostra idea di guerra e di pace»

di Luca Barbieri
Adriano Sofri e Patrick Zaki a Pisa (foto Fabio Muzzi)
Adriano Sofri e Patrick Zaki a Pisa (foto Fabio Muzzi)

L’attivista e lo scrittore nell’incontro clou di giornata della manifestazione: «Ma tantissimi conflitti in corso sono dimenticati»

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PISA. Cosa è la pace? Come si racconta? E qual è la narrazione della guerra, il rapporto con l’opinione pubblica? C’è una narrazione dei conflitti? Il tutto tenendo bene a mente il dialogo incessante con il digitale, il web e i social. C’è un filo sul quale si muovono temi concettualmente così distanti come guerra e pace: e quel filo si chiama narrazione, oggi diventato storytelling.

Ad addentrarsi in argomenti interconnessi tra loro il dibattito di oggi, 12 ottobre, alla Scuola Normale Superiore di Pisa “Guerra e pace - Dinamiche globali nell’era digitale”, appuntamento all’interno del vasto programma dell’Internet Festival che si conclude oggi (come scriviamo a lato). A parlarne, l’attivista e ricercatore egiziano Patrick Zaki, Adriano Sofri, scrittore e intellettuale, assieme alla ricercatrice Chiara Milan e alla giornalista e scrittrice Elena Pasquini (con la conduzione di Leandra Borsci).

I temi

Tanti gli spunti, ma le precisazioni, se da un lato fissano il perimetro, dall’altro traducono quanto quel filo sia comunque intricato: «La guerra dovrebbe essere raccontata così come si racconta la pace: l’equivoco è che non ci s’accorge della pace; anzi, la si definisce come ordinaria, parte della vita quotidiana. La guerra, invece – , sottolinea Sofri – fa rumore. Sono nato nel 1942 – in piena Seconda guerra mondiale – e poi ho seguito molte guerre: seguirle permette di capire meglio la posta in gioco. Vedere quanto le guerre siano legate da un nucleo intimo e inesorabile», spiega citando il suo libro “C’era la guerra in Cecenia” (Sellerio).

Prima precisazione. E si passa già alla seconda: «Moltissimi conflitti non vengono però raccontati – ribadisce Pasquini – Riprendo le parole di Zaki: “Per chiedere la pace, dobbiamo allargare lo sguardo: non bisogna “accettare” i conflitti perché lontani”. Se parliamo di pace, dobbiamo intendere una pace per tutti». Poche righe in cui viene condensato l’articolato pensiero.

La narrazione

Spetta alla ricercatrice Milan fissare un nuovo punto: «Ma c’è una narrazione che manca: chi è costretto alla fuga da guerre e calamità naturali. A maggio del 2024 parliamo di 120 milioni di persone, come possiamo ignorarle e chiudere i confini? Ed è un movimento che non accenna a smettere, ma la loro voce non viene ascoltata. Perché? Alcuni tendono a de-umanizzare queste persone, raggruppandole nella macrocategoria di “clandestini che sbarcano”...», fa notare con il dibattito che si sposta su quei conflitti – ma anche su certe tematiche, più generalmente – che trovano poco spazio all’interno del dibattito pubblico.

E i social?

Se questo è il contesto, «l’innovazione digitale assume un peso crescente, offrendo spazi in cui si compiono grandi scelte», prendendo in prestito le parole degli organizzatori. E qual è il ruolo che hanno o che potrebbero avere i social media? Domanda girata prontamente a Zaki che evidenzia da una parte quel lato dei social da vivere come opportunità, come occasione di allargare lo sguardo della conoscenza. Ma c’è pure l’altra faccia dell’utilizzo dello strumento digitale: «Penso – rimarca l’attivista e ricercatore a Pisa per motivi di studio – a chi organizza sui social, per esempio, campagne di razzismo…».

E così, prima della chiosa affidata sempre a Zaki, la riflessione che arriva da Sofri, intervallata dagli esempi e dai casi di Milan e Pasquini: «Si parla di dopoguerra – si sofferma Sofri –, ma non riuscirei a ripetere questo termine perché al momento sembra un po’ fuori mercato: oggi direi che ci siamo incontrati, verrebbe da dire, nell’ante guerra».

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