Il Tirreno

Toscana

Il caso

Civitavecchia, l’Autorità portuale condannata per licenziamento illegittimo

di Maurizio Campogiani

	La decisione della giudice del lavoro (foto di repertorio)
La decisione della giudice del lavoro (foto di repertorio)

Per la giudice del lavoro il provvedimento nei confronti di un dirigente era contrario alle disposizioni dl legge: l’ente dovrà reintegrarlo e pagare tutti gli stipendi non percepiti

27 settembre 2024
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CIVITAVECCHIA. Una sentenza destinata a far discutere, anche a livello nazionale. La dottoressa Irene Abrusci, giudice della sezione lavoro del tribunale di Civitavecchia, ha dichiarato nullo il licenziamento di un dirigente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale, ex dirigente del settore promozione, sviluppo del turismo e marketing del territorio, avvenuto a marzo 2023. L’ente dovrà reintegrarlo nel posto di lavoro e corrispondergli la retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra, nonché al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali, con interessi e rivalutazione al saldo. Ha inoltre condannato l’Autorità Portuale al pagamento in favore del ricorrente della metà delle spese di giudizio stimate in 5mila e 300 euro. Respinta, invece, la richiesta di risarcimento danni avanzata dal ricorrente.

La sentenza

Si tratta della prima sentenza riguardo i ricorsi presentati contro i licenziamenti. Erano infatti stati quattro i dirigenti dell’Authority licenziati nel marzo dello scorso anno. L’ente aveva motivato le sue decisioni alla luce della nuova riorganizzazione interna. Le motivazioni addotte dalla giudice per arrivare alla condanna dell’ente sono diverse e nella decisione hanno pesato in modo determinante anche le testimonianze di alcuni colleghi e, in particolare, del segretario generale dell’Autorità Portuale.

Nel dispositivo della sentenza si legge che «la scelta datoriale di licenziare il ricorrente, nell’ambito della riorganizzazione adottata, non sia conforme a buona fede: il lavoratore è stato, invero, dapprima trasferito ad una posizione di lavoro creata ad hoc e sostanzialmente superflua, per poi essere licenziato proprio in ragione della superfluità della posizione di lavoro mentre continuava ad essere operativa la posizione di lavoro ricoperta in precedenza, affidata ad altro lavoratore».

E ancora: «Oltre a non essere conforme a buona fede, e quindi ad aver dato luogo ad un licenziamento privo di giustificatezza, il disegno datoriale che emerge dalla ricostruzione degli eventi conduce a ravvisare una ipotesi di recesso radicalmente nullo, in quanto intimato in frode alla legge. Il trasferimento del lavoratore ad altra posizione lavorativa creata in quel momento e poco dopo soppressa, in assenza di reali e dimostrate esigenze datoriali al temporaneo utilizzo di un profilo dirigenziale a disposizione, nell’ambito della Segreteria Tecnico Operativa, a diretto riporto del Segretario Generale, non può che ritenersi preordinato a conseguire un risultato vietato dalla legge, ovvero ad individuare il dirigente destinatario del licenziamento non sulla base di criteri oggettivi e conformi a buona fede bensì in modo arbitrario».

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