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Nubifragi in Toscana, in 18 anni sono 42 i morti: due i principali fattori di una strage senza fine

di Mario Neri

	Montecatini Val di Cecina: le ricerche dei dispersi (foto Franco Silvi
Montecatini Val di Cecina: le ricerche dei dispersi (foto Franco Silvi

Prima di noi solo Sicilia e Sardegna hanno situazioni peggiori. E nel calcolo è escluso l’ultimo disastro In Valdicecina, dove sono ancora in corso le ricerche di non a nipote

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I Ramacciotti se li è portati via il Rio Maggiore. Il torrente tombato si riprese il suo corso, inondò la casa, non ci fu nulla da fare. Era la notte del 10 settembre 2017. Il diluvio avrebbe creato una generazione di nuovi angeli del fango in città: i bimbi motosi, insozzati dalla piena, con gli occhi lucidi e il sorriso, ripulirono Livorno dalle ferite e dal lutto per le otto vite spezzate dalla violenza dell’acqua e dall’incuria. A Lavacchio, sette anni prima, sulle alture di Massa, un pezzo di montagna scivolò sulle case portandosi via Nara Ricci e il suo piccolo Mattia, appena due anni. Era la notte di Ognissanti. Un anno dopo questa cupa contabilità è toccata in sorte ad Aulla, poi l’anno successivo a Capalbio, e quelli dopo ancora a Magliano, Orbetello, San Giuliano Terme, Massa Marittima, Manciano, Talla, Pistoia, fino ad arrivare al disastro che l’anno scorso ha travolto cinque province della Toscana portandosi via altre otto vite e oggi ci costringe a piangere un bambino e sua nonna.

Ma il peggio di questa funerea enumerazione è sapere che «succede e succederà quest'anno, l'anno prossimo, tra dieci anni, perché il problema del dissesto geologico in Toscana, così come in tutta Italia, è ormai cronico», dice Nicola Casagli, geologo, docente all'Università di Firenze e membro della commissione Grandi rischi che supporta la Protezione civile.

Lo testimoniano anche i calcoli dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr. In 15 anni, dal 2007 al 2021, il maltempo in Toscana ha disegnato una scia inarrestabile e ha preteso 34 vite. A queste vanno aggiunte le otto di un anno fa e il piccolo Noah e la sua nonna. A stare agli esperti, la nostra regione è la terza in Italia per numero di morti e dispersi nei disastri climatici, la seconda se si calcolano solo le alluvioni per inondazione, cioè quelle in cui a causare le vittime è stato un fiume o un torrente esondato: da noi infatti, in quel periodo, sono stati 27 i morti per inondazioni e 7 per dissesti franosi. La Sardegna è quella col bilancio peggiore per le inondazioni (30 vittime), mentre alla Sicilia tocca il primato per il numero di vittime da frana (48). In totale, nel Paese, in quei 15 anni i morti sono stati 336, di cui 188 per le inondazioni e 148 per le frane.

La condanna è dare per ineluttabile ciò che non lo dovrebbe essere. Perché il cambiamento climatico ci costringerà ad «imparare a convivere con il rischio», dice Casagli. Secondo lo studioso, la questione parte da lontano ed è legata «a due fattori»: il cambiamento climatico e il massiccio consumo di suolo. Il primo ha cambiato il volto delle piogge. In generale, dice, «piove meno, ma in maniera più violenta e concentrata su aree ristrette. Gli eventi che avvengono e che avverranno nei prossimi anni saranno di una violenza tale da mettere in crisi qualsiasi territorio, indipendentemente dalle opere che si possono fare. Perché, quando piovono 200, 300, 400 millimetri di pioggia in poche ore, pressappoco la metà della pioggia che cade a Firenze in un anno, non c'è territorio che tenga per quanto lo possa regimare». Questa «è una cattiva notizia», un fatto che «però contiene anche degli aspetti positivi: non ci aspettiamo più alluvioni ricorrenti tipo quella di Firenze del '66». O meglio, «cose così grandi non saranno impossibili, ma più rare». Tuttavia, «eventi come a Livorno nel 2017, a Campi Bisenzio nel 2023, a Marradi nel 2023 e di nuovo nel 2024, sono ormai da mettere all'ordine del giorno». La norma.

E questo per effetto del secondo fattore: il consumo di suolo. «Abbiamo costruito in maniera troppo allegra e disinvolta dovunque, in zone franose, alluvionabili, nelle golene, sugli argini e su pendii instabili, sui vulcani e sulle faglie. E continuiamo a farlo perché il consumo di suolo, monitorato ogni anno dall'Ispra, non accenna a diminuire. Costruire su un terreno vergine costa molto meno che recuperare un'area dismessa». Sarebbe perfino un aspetto su cui possiamo agire, «ad esempio rendendo più conveniente, anche con incentivi istituzionali, costruire sul costruito e demolire tante schifezze fatte in passato per ricostruire in maniera più appropriata». 
 

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