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Perché esplodono cercapersone e walkie-talkie in Libano? La paura per la guerra che scoppia in tasca

di Libero Red Dolce
Perché esplodono cercapersone e walkie-talkie in Libano? La paura per la guerra che scoppia in tasca

L'attacco di Israele ha trasformato migliaia di persone in ordigni ambulanti per le città: le conseguenze di un attacco che per molti è un atto terroristico

20 settembre 2024
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Con un’operazione sorprendente il 17 e il 18 settembre  migliaia di cercapersone e walkie-talkie utilizzati da membri di Hezbollah, in Libano, sono stati fatti esplodere causando 32 morti, al momento, e migliaia di feriti anche gravi. L’operazione, sebbene non rivendicata in maniera ufficiale, va attribuita a Israele, come confermano diverse fonti di intelligence anonime citate dai media internazionali. Si è trattato di un’azione eccezionale sotto vari aspetti, sia per gli obiettivi colpiti, coinvolti senza alcuna cura di danni collaterali a civili e persone che nulla hanno a che fare con Hezbollah o con la lotta armata; sia per via delle modalità, che hanno dimostrato una capacità di organizzazione, pianificazione e infiltrazione da parte delle forze israeliane molto radicata.

I fatti: il primo giorno di esplosioni

Martedì 17 settembre, intorno alle 15.30, migliaia di cercapersone in Libano hanno cominciato a esplodere in maniera coordinata. Secondo il Wall Street Journal, che ha ricostruito la sequenza degli avvenimenti tramite alcune testimonianze, i dispositivi erano stati contattati poco prima dell’operazione in modo che i possessori li avessero in mano o vicino al volto prima di prenderli. I cercapersone sono esplosi ovunque, dato che le cariche esplosive al loro interno (sulle quali ritorneremo) sono state azionate tutte allo stesso modo. In maniera indiscriminata. E quindi le esplosioni hanno coinvolto persone dentro uffici, mezzi pubblici, strutture civili, mercati come anche membri di Hezbollah verosimilmente impegnate in attività militari e che sono effettivamente combattenti. Tutti utilizzati come ordigni ambulanti ma non selezionati.

Va ricordato che Hezbollah controlla vari gangli della società del sud del Libano e come ha scritto il giornalista Lorenzo Forlani, esperto del paese, “è un movimento nato dal basso e organizzato dall’alto, orizzontale, che ha cercato di organizzare, sfruttare e sistematizzare l’insofferenza e il desiderio di rivalsa di una comunità ai margini e sotto occupazione”. Questo spiega il bilancio delle vittime comunicato dalle autorità libanesi, decisamente eterogeneo: 12 morti e più di mezzo migliaio di feriti di cui diversi gravi. Persone che rischiano amputazioni di arti e che hanno perso la vista. 

Il secondo giorno di esplosioni

Mentre il Libano è ancora scosso da questo primo, sorprendente attacco, il copione si ripete con qualche variazione il giorno dopo. Non è ancora chiaro, né nel paese dei cedri né all’estero, come sia stato possibile portare un attacco su così vasta scala e che espediente sia stato utilizzato per innescare le esplosioni. Mentre circolano le prime ipotesi, ripartono una serie di deflagrazioni simultanee. Stavolta sono i walkie-talkie a esplodere, sempre in mano ai membri di Hezbollah. Il bilancio dei morti è peggiore del giorno precedente: in 20 hanno perso la vita, i feriti sono centinaia. Il mondo assiste esterrefatto a un’operazione i cui obiettivi strategici sono ancora fumosi. Qualcosa invece si è cominciato a capire sulle modalità adottate per far detonare gli apparecchi.

Come si fanno esplodere i dispositivi a distanza?

Nelle prime ore successive alle esplosioni del primo giorno sono apparse le ipotesi più disparate. C’è chi ipotizza un comando a distanza che ha fatto surriscaldare le batterie dei dispositivi, attraverso un trojan facendoli esplodere. Si tratta di una tesi improbabile, perché per quanto un malware potrebbe ipoteticamente infettare dispositivi come gli smartphone che abbiamo tutti in tasca, le batterie al litio che li alimentano esplodono solo in casi rari e dovuti a difetti di fabbrica. Eliminata questa prima ipotesi resta in piedi quella di una manomissione precedente alla distribuzione dei dispositivi tra i membri di Hezbollah. Un sabotaggio vecchio stile, installando una carica di esplosivo attivabile da remoto. Ma come si è riusciti a farlo?

Il New York Times ha riportato la testimonianza di due funzionari libanesi che sostengono che dentro ogni cercapersone si stato impiantato del materiale esplosivo dal peso variabile tra i 30 e i 60 grammi.

I filmati girati dopo le esplosioni mostrano che i dispositivi sono marchiati Icom, un marchio giapponese. La società ha spiigato che furono esportati in Medio Oriente tra il 2008 e il 2014 e mai più spediti dopo quella data. Un modello fuori produzione da 10 anni.

La sequenza ricostruita dai media è questa: alle 15.30 i cercapersone ricevono un messaggio che sembra arrivare dalla leadership del gruppo e qualche secondo dopo migliaia di questi detonano. Alcuni frammenti ritrovati tra i dispositivi detonati rimandano a una manifattura taiwanese chiamata Gold Apollo, che negato ogni legame con le esplosioni. Il fondatore della compagnia ha spiegato alla Bbc di avere siglato un accordo con una compagnia ungherese, Bac, per realizzare i dispositivi. Rimangono dei dubbi sul perché i dispositivi non siano stati controllati prima di essere distribuiti agli appartenenti al gruppo. Una dimenticanza o una complicità interna? Così come rimane da capire l’eventuale responsabilità di una serie di ditte in qualche modo collegate ai cercapersone (oltre alle piste taiwanese e ungherese, ci sono altre connessioni che portano alla Norvegia e alla Bulgaria).
Perché questo attacco e perché ora?

Ufficiali statunitensi e israeliani non nominati hanno detto al sito di notizia statunitense Axios che la detonazione simultanea dei cercapersone era inizialmente prevista come mossa di apertura in un'offensiva "totale" contro Hezbollah. Tuttavia, negli ultimi giorni i vertici israeliani si sarebbero preoccupati che Hezbollah fosse venuto a conoscenza del piano, quindi i cercapersone sono stati fatti esplodere in anticipo.

Il disinteresse di Israele per le vittime civili e l’ostentata indifferenza verso un attacco che ha tutte le caratteristiche degli attacchi terroristici apre ovviamente a diversi scenari sulle reali intenzioni dei vertici militari e politici israeliani. L’attacco peraltro è avvenuto in un momento molto caldo nella regione, con il rischio concreto che un pungolo di questo genere possa causare un allargamento del conflitto, tirando dentro il principale alleato di Hezbollah: l’Iran. 

I funzionari israeliani non hanno commentato le accuse, ma la maggior parte degli analisti concorda sul fatto che sia probabile che Israele sia dietro l'attacco. E che lo stato ebraico si prepari a lanciare un attacco via terra nel sud del Libano nel prossimo futuro. L’altra ipotesi, considerata più improbabile dagli analisti, è che Israele stia cercando di fiaccare il morale di Hezbollah mostrando in maniera palese e globale la sua capacità di colpire in profondità e in modo inatteso il nemico. E così facendo paralizzarne la capacità di reagire facendolo ripiegare. A questo proposito giova citare sempre Forlani che fa presente che le esplosioni  “non hanno compromesso i sistemi di comunicazione, in gran parte cablati e quindi non wireless, di Hezbollah”.

Lancio di missili sul nord di Israele e bombardamenti su Beirut: le conseguenze immaginabili

L’attacco ha generato reazioni immediate e prevedibili. In un discorso tv tenuto ieri, giovedì 19 settembre, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha detto che il governo israeliano ha superato “tutte le linee rosse" e ha annunciato una reazione contro quello che ha definito un "atto di guerra". Dalla mattina di oggi Hezbollah ha cominciato a lanciare decine di missili sul nord di Israele. La risposta non si è fatta attendere. Israele ha bombardato un quartiere di Beirut come risposta al lancio di missili da parte di Hezbollah. I morti sono almeno 3 e una ventina i feriti.

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