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L’intervista

Funghi e l’assalto ai boschi toscani, Federico Pagliai: «Assedio legato a una verità scomoda»

di Giuseppe Boi

	A destra Federico Pagliai
A destra Federico Pagliai

La continua diatriba tra fungai e fungaioli secondo lo scrittore Federico Pagliai: «Serve un regolamento»

18 settembre 2024
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Fungai contro fungaioli. Il primo è il nome usato sulla Montagna pistoiese per i cercatori di funghi sulla Montagna pistoiese. Il secondo si trova nel dizionario e designa, come recita la Treccani, tanto chi li cerca quanto chi li coltiva. Di certo i fungai non amano i fungaioli. Non solo perché vengono dalla pianura o dalla costa – e spesso non sono nemmeno toscani – ma perché «mettono le mani su una risorsa economica importante per il territorio» e «sfruttano e deturpano l’ambiente», spiega un fungaio doc: Federico Pagliai, lo scrittore della montagna pistoiese.

Le due tragedie in montagna fanno riemergere la questione dei cercatori di funghi. I boschi sono presi d’assalto?

«Al di là di fatti tragici come questi due recenti, sui quali non si può esprimere un giudizio ma solo dolore e vicinanza alle famiglie, il problema esiste da almeno una quindicina di anni e credo sia stata un po’ complice la crisi economica intorno al 2008-2010».

Perché?

«C’è una verità un po’ scomoda: la gente va in montagna per andare a funghi e, soprattutto, per vendere i funghi. Questo per decenni, se non per secoli, era appannaggio delle genti di montagna. Era una forma, quasi, di tacito assenso a favore di chi cura un territorio 365 giorni l’anno. Ora è diventata una deriva alimentata anche dal fenomeno dei social network».

In che senso?

«Facebook, Instagram e tutti i social hanno creato un effetto a catena: pubblicare foto sui social dei funghi fa sì che si diffonda la cultura della raccolta facile. In realtà non è così».

Ossia?

«Camminare in pendenza significa essere addestrati allo sforzo fisico e attrezzati».

Basta questo?

«Andrebbe fatto anche un discorso etico, chiamiamolo così, per cui chi amministra, chi ha la responsabilità delle politiche centrali e locali, dovrebbe intervenire secondo un concetto per cui la montagna è un teatro. E come un teatro ha una sua capienza: non può ospitare migliaia e migliaia di persone. Penso che sarebbe giusto regolamentare l’accesso».

E il turismo?

«Sinceramente è abbastanza brutto vedere questo turismo predatorio che non lascia niente al territorio a livello di ricaduta economica. Il tesserino per i funghi, e c’è chi non lo fa, costa qualcosa come 25 euro l’anno e apre le porte dei boschi a chi, magari, non si ferma neanche a prendere un caffè e non rispetta le regole basilari».

Ad esempio?

«Qui abbiamo aspettato l’alba per andare a cercare funghi. Come stabiliscono l’etica e la legge, ma anche il buon senso, visto che farsi male è più facile al buio»

E ora?

«Alle 4 di mattina il bosco si anima di persone. C’è un assedio per prendere e portare via tutto ciò che si trova. Dopo il passaggio di questa massa, le foglie a terra sembrano tabacco: sono polverizzate. E poi c’è fungaio e fungaio. C’è chi prende solo quello che emerge dal terreno e rispetta le misure dei funghi. C’è chi raccoglie tutto e chi, quando trova un fungo anche a misura, comincia a razzolare per metri quadrati nella speranza di trovarne un altro. Se c’è e non si vede è perché è piccolino, ma se ci cammini sopra lo distruggi senza avere nessun rispetto per lui e per gli altri».

Insomma, c’è poco rispetto per i funghi e per l’ambiente in generale?

«Sì, anche perché a questo si aggiungono rifiuti, sacchetti, cicche di sigarette e compagna cantante che vengono abbandonati nei boschi. Sapete qual è la vocazione del fungaiolo di oggi giorno? Andare nei boschi con un Estathé e abbandonarlo: in montagna se ne trovano a centinaia».

Tutto questo è alla base delle tensioni che, ciclicamente, esplodono tra residenti e cercatori di funghi?

«È una cosa che sicuramente dà fastidio. Visto da chi ci abita 365 giorni l’anno, non è bello che gli altri si ricordino della montagna solo quando c’è da prendere qualcosa. Finito poi il boom dei funghi, che segue quello della fuga dal caldo, la montagna diventa un luogo dimenticato».

Come invertire la tendenza?

«Andare per funghi è diventato un uno sport o qualcosa che è un po’ sfuggita di mano. Purtroppo a fronte di una mancanza di cultura – che è un frutto lento a maturare – servirebbero delle misure un pochino più stringenti».

Tipo?

«Giorni di chiusura o un tesserino con numero limitato per cercare, quantomeno, di regolamentare questo assedio. Perché, piaccia o non piaccia, di assedio si tratta». 

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