Rete idraulica colabrodo, cosa aspetta il governo a sbloccare i dissalatori?
Allarme siccità: dispersioni al 42,4%
Ecco le riflessioni dei lettori pubblicate sull’edizione cartacea di martedì 13 agosto, nella pagina dedicata al filo diretto con il direttore de Il Tirreno, Cristiano Marcacci. “Dillo al direttore” è l’iniziativa che permette alle persone di dialogare direttamente con Cristiano Marcacci, attraverso il canale WhatsApp (366 6612379) e l’indirizzo mail dilloaldirettore@iltirreno.it.
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di Vladimiro Benedetti
La rete italiana soffre di una dispersione pari al 42, 4% del patrimonio idrico totale. Un dato veramente allarmante che ci vede in testa alla ranking list dei Paesi interessati da questo fenomeno. I cambiamenti climatici hanno generato una siccità che ha messo in ginocchio il sud e le isole. Si è pensato di costituire un commissariato speciale per questa emergenza ma di provvedimenti risolutivi se ne sono visti davvero pochi. Allevatori ed agricoltori sono allo stremo, e chiedono d’intervenire subito per salvare almeno il salvabile.
Certamente provvedimenti tampone non basteranno a contrastare il fenomeno della siccità, ma potrebbero costituire una prima fase per poi dar luogo ad una seconda fase, imperniata su piani organici e strutturali di lungo respiro. La messa in atto della prima fase dovrebbe prevedere l’immediato intervento della Protezione Civile e dei reparti logistici dell’esercito in grado di rifornire con le autobotti le aziende ed i privati cittadini che si trovano nelle condizioni più estreme. Per attuare la seconda fase si renderebbe necessaria la costituzione di una task force, composta da tecnici di provata esperienza e capacità, dotata di strumenti tali per potersi esprimere con immediatezza, senza ingombri e ritardi causati da burocrati inadeguati.
Ovvero porte sbarrate a pseudo consulenti paracadutati per appartenenza politica e in cerca di laute prebende. Alcuni interventi indispensabili dovranno essere realizzati con efficienza e tempestività. Una precisa mappatura del sistema idrico nazionale provvedendo ad un adeguato ripristino delle perdite, costruzione di nuovi invasi comunicanti e la realizzazione di impianti per desalinizzare l’acqua del mare. Al momento sono presenti sul nostro territorio 340 dissalatori la maggioranza dei quali nelle isole e non tutti operanti.
Unico impianto di grande capacità e quello di Taranto, ma basta fare un confronto con la vicina Spagna per capire che il numero dei nostri dissalatori è inadeguato alla bisogna. In Spagna sono operanti ben 765 dissalatori e solo quello di Barcellona è in grado di soddisfare l’esigenza di 400.000 persone. La messa in opera dei dissalatori consentirebbe poi, di non attingere acqua in modo eccessivo dai pozzi naturali con il rischio di esaurirli. Da punto di vista energetico e ambientale, le moderne tecnologie hanno consentito di limitare al massimo rischi e contro-indicazioni riguardo all’impatto che tali impianti potrebbero avere sul territorio. Le risorse economiche per realizzare le due fasi a cui mi riferisco, potrebbero essere ricavate da quelle destinate al cervellotico progetto del ponte sullo stretto di Messina, il ministro delle infrastrutture non me ne voglia.
Del resto, Salvini in combutta con la Santanchè, in questi giorni mi sembra più preoccupato a difendere il portafoglio/ concessioni di una categoria (i balneari) i cui componenti non sono certo alla canna del gas, anziché spendersi per cercare di salvare numerose aziende e migliaia di lavoratori che alla canna del gas ci sono davvero.