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Iryna, Yaroslava e Kimia, le altre Olimpiadi dei diritti

di Enzo Brogi
Enzo Brogi
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Insieme alle imprese sportive le storie di vita di mondi lontanissimi

11 agosto 2024
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Hanno scritto in tanti sulle Olimpiadi di Parigi. Lo faccio anche io, pur con l’imbarazzo dell’intruso, di chi lo sport purtroppo non lo pratica e neppure lo segue, se non in particolari momenti di solennità o emblematicità culturale e sociale. Se lo sport è metafora della vita, le Olimpiadi ne sono la sintesi suprema. Oltre 10.000 atleti seguiti da medici, allenatori, preparatori, staff di razze e lingue e paesi diversi, alcuni in conflitto tra loro, altri in guerra permanente. I cinque cerchi sono il più grande palcoscenico sul mondo.

E mentre seguiamo le imprese degli atleti della nostra regione Toscana, ascoltiamo le storie di mondi lontanissimi che diversamente non avremmo potuto conoscere. Su tutte quelle delle donne, orgogliose e fiere di dimostrare il loro impegno, il loro valore e la loro appartenenza oltre ogni ostacolo, anche oltre le regole di dittature che vorrebbero impedire o mortificarle pure lo sport. Difficile dimenticare le divise esageratamente contrapposte nelle competizioni di beach volley femminile. Ragazze in bikini che si battono con altre costrette a giocare vestite dalla testa ai piedi e di nero, a quasi 40 gradi, sotto la torre Eiffel. Oppure quell’ombretto giallo e azzurro come la bandiera, sugli occhi di Yaroslava Mahuchikh e Iryna Gerashchenko, le due atlete ucraine che hanno vinto l’oro e il bronzo nel salto in alto femminile. E poi lo spettacolo immondo, alimentato dai nostri politici di destra che hanno misurato ormoni e cromosomi della atleta algerina Imane Kheklif, mostrificandola e bullizzandola. «Un trans algerino, bandito dai mondiali di boxe, parteciperà alle Olimpiadi e affronterà la nostra Alessandra Carini», aveva scritto Salvini. E così, entrambe le atlete usate da una campagna inaccettabile. Ma la storia più commovente sta nell’immagine del bel volto fiero e austero di Kimia Yousofi, che ha 28 anni e vive da rifugiata in Australia da quando i talebani occupano il suo paese. Yousofi ha corso, ma a Parigi è arrivata per denunciare l’oppressione sulle donne e la dittatura in Afghanistan. Kimia è alla sua terza olimpiade, a Tokyo fu pure la portabandiera. Partecipa ai “round preliminari”, con atleti provenienti dai paesi più piccoli e più poveri del mondo. Ogni paese ha diritto a un posto nelle gare di atletica come fosse una bolla dell’accoglienza, tanto che si è parlato di «Olimpiadi parallele» che mettono assieme ai valori agonistici e quelli umani, il vissuto e le storie degli atleti. Yousofi ha sbattuto sugli occhi di tutti il motivo per cui lei era lì. «Ho un messaggio per le ragazze afghane. Non mollate. Non lasciate che siano altri a decidere per voi. Cercate le vostre opportunità, e poi usatele».

Si stacca il suo pettorale, lo gira e mostra la scritta “Istruzione, sport, i nostri diritti”, una protesta netta contro l’oppressione del regime talebano. Ho letto che “Citius, altius, fortius, communiter” è il motto olimpico. Esultiamo per “communiter”, insieme. Insieme a Yaroslava e Iryna, insieme alle ragazze egiziane del volley, insieme Khelif e Alessandra. A Kimia Yousofi e a tutti gli altri atleti. Per lo sport, per i diritti e per la pace. E in attesa di una storica finale con l’azzurro di Paola Egonu, tanti saluti a Vannacci & C. 

*Attivista per i diritti e scrittore

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