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Meno soldi in banca, in un anno in Toscana depositi calati di 2,3 miliardi. Le soluzioni per una crescita

di Francesco Paletti
Meno soldi in banca, in un anno in Toscana depositi calati di 2,3 miliardi. Le soluzioni per una crescita

Il professor Giovanni Dosi: «Di cosa ci sarebbe bisogno? Di una politica industriale quantomeno dignitosa»

22 luglio 2024
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Due miliardi e 338 milioni di euro in meno in appena 12 mesi. Le percentuali a volte ingannano, specie quando sono piccole: a tanto, infatti, equivale il calo del 3,1% nei depositi bancari delle famiglie toscane registrato nel primo trimestre di quest'anno rispetto allo stesso periodo del 2023.

Secondo i dati di Bankitalia, in valori assoluti siamo passati da 74 miliardi 426 milioni e 446 euro a 72 miliardi 87 milioni e 956.000 euro.

È soprattutto la diminuzione dei risparmi familiari, infatti, a spingere verso il basso l'ammontare complessivo dei depositi bancari della regione (al netto di quelli delle banche e delle altre istituzioni finanziarie) che, in dodici mesi, sono diminuiti dell’1,8%. «Non c'è nessun enigma da risolvere, è semplicemente l'effetto congiunto della crisi inflazionistica che ha fatto lievitare i prezzi di molti beni e in generale il costo della vita, unita alla prolungata stagnazione dei salari e alla crescita delle disuguaglianze: per farvi fronte molte famiglie hanno dovuto attingere ai propri risparmi», taglia corto il professor Giovanni Dosi, docente emerito della Scuola Sant'Anna di Pisa, oltreché l'economista italiano più citato al mondo.

«L'inflazione sopportata nell'ultimo anno ha limitato fortemente la crescita della ricchezza», spiega Giancarlo Antognoli, già direttore generale di Mps Leasing and Factoring, esperto di credito. Poi, però, traduce: «Vuol dire che in un anno siamo diventati tutti un po' più poveri».

Beninteso, la “cassaforte” toscana è ancora più che robusta: l'ammontare complessivo dei depositi, infatti, supera i 107 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (67,3%) sono su conti bancari delle famiglie, pari a 72,1 miliardi. La fetta più ampia dei depositi delle famiglie, ovviamente, è nel capoluogo di regione e nel territorio circostante: complessivamente, infatti, negli istituti di credito della provincia di Firenze si trova il 29,8% dei risparmi di tutti i toscani (pari a 21,5 miliardi). Seguono a distanza due delle tre province dell'area vasta costiera, ossia Pisa (11,0% corrispondenti a 7 miliardi e 960 milioni) e Lucca, che vale sempre l'11% in termini percentuali ma con un volume di depositi appena più basso (7 miliardi e 908 milioni).

In un anno, però, il gruzzolo delle famiglie toscane si è eroso in tutte le province. Non ce n'è una che che non sia accompagnata dal segno “meno” e le diminuzioni più marcate sono proprio nelle aree trainanti l'economia regionale e contraddistinte da livelli più elevati di benessere economico: a Firenze, Lucca e Pistoia, infatti, i risparmi familiari sono diminuiti del 3,7%. Stessa percentuale ma valori economici diversi: 833 milioni in meno nel capoluogo, 80 nel pistoiese e 65 nel territorio lucchese.

Ma i risparmi accantonati calano in tutta la regione: a Prato del 3,4%, a Pisa, seconda provincia della Toscana per ammontare di depositi bancari familiari, del 3%. Il dato “migliore” è quello di Livorno: ma anche qui il segno è negativo (-1,9%).

Va appena meglio se si considerano i depositi bancari totali, cioè quelli accantonati in Toscana da tutti i soggetti economici ad eccezione di banche e istituzioni finanziarie: in questo caso cresce lievemente Arezzo (1,4%) e tengono Lucca (0,6%) e Siena (0,3%). Però le percentuali di tutte le altre province sono di segno negativo e le diminuzioni più significative riguardano Firenze (-4,3%) e Prato (-3,2%), ossia i territori che ospitano buona parte della piccola e media impresa toscana. Anche quello è una parte del problema.

«L'unica possibilità per una crescita della ricchezza prodotta sono gli investimenti delle aziende, in particolare delle piccole e medie che costituiscono tanta parte del nostro tessuto produttivo, ma pure quelli sono sostanzialmente fermi, con percentuali di crescita inferiori alla media nazionale», sottolinea Antognoli. «Però – aggiunge – le autorità monetarie e il governo potrebbero spingere le banche ad accompagnare con più vigore gli investimenti produttivi in grado di generare valore aggiunto, ricchezza, e possibilmente, anche risparmio».

Il professor Dosi è addirittura più esplicito: «Di cosa ci sarebbe bisogno? Di una politica industriale quantomeno dignitosa: altrimenti resisteranno solo le imprese a valore aggiunto “basso o nullo” per usare un eufemismo, cioè quelle che fanno contratti precari e pagano salari bassissimi se non al nero, con conseguente ulteriore erosione del risparmio e crescita delle disuguaglianze».

Per l'economista, infatti, la diminuzione dei depositi bancari «è solo una delle spie di una spirale negativa che andrebbe assolutamente fermata: come? Aumentando i salari, bloccati da anni, e alzando le tasse a carico dei più ricchi in modo da avere più risorse da investire in servizi», spiega. E poi aggiunge: «Ci sono diritti che si stanno trasformando in beni economici: chi ha potuto risparmiare qualcosa, se li assicura comprandoli; chi non c'è riuscito, semplicemente rinuncia. È emblematico ciò che sta accadendo in sanità con le liste d'attesa: coloro che ne hanno la possibilità, si rivolgono al privato attingendo ai propri risparmi. Chi non può, rinuncia a curarsi: in Italia le persone in questa condizione sono in crescita esponenziale».  

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