Alice e Giulio, infermieri toscani scappati in Germania: «Si lavora meglio e si guadagna di più»
La testimonianza: «Guadagniamo tra i 2.400 e i 2.800 euro, in Italia non c'era un collega felice»
«Ma chi te lo fa fare? ». Una, due, tre volte. Giulio Malacarne, oggi 28 anni, fiorentino, stava facendo il tirocinio in ospedale e non riusciva a trovare un collega infermiere che avesse più di 35 anni e che fosse felice e realizzato per il lavoro che stava facendo. Lui e la fidanzata, oggi moglie, Alice Lupelli non volevano diventare così. E tre anni fa, subito dopo la laurea hanno deciso di lasciare l’Italia e la Toscana per andare a lavorare in Germania.
Sono una goccia in mezzo al mare (in Italia gli infermieri che hanno deciso di andare all’estero a lavorare sono tremila) ma la loro storia è la sintesi dei motivi della mancanza di infermieri. È il racconto plastico dei motivi per cui oggi, in Toscana, non si trovano 7.000 infermieri per le strutture pubbliche, 5.000 per le private convenzionate e del fatto che è in atto quello che viene definito un “calo delle vocazioni”, che sta mettendo in gravissima difficoltà la sanità italiana.
L'infelicità in Italia
Racconta Giulio: «In ospedale non c’era un infermiere felice. Tutti erano frustrati, insoddisfatti e ci invitavano “a fare qualcos’altro” per la qualità e il carico di lavoro, davvero gravoso; per la vita, piena di rinunce per il lavoro sistematico la domenica e i festivi, per uno stipendio ritenuto non adeguato alla fatica e alle competenze».
Per caso la coppia di fidanzati vide sui social un annuncio di un’agenzia con la filiale in Italia e la sede a Stoccarda: cercavano infermieri. «Con Alice decidemmo che dovevamo provare subito, senza prima lavorare in Italia», racconta Malacarne. «Eravamo consapevoli che se fossimo entrati nel sistema avremmo avuto più difficoltà a lasciare. Abbiamo fatto il colloquio prima della laurea che abbiamo discusso a distanza di 15 giorni l’uno dall’altra e siamo partiti. Solo un’auto, tre valigie e la consapevolezza che avremmo fatto un’esperienza importante per la nostra professione».
La prima tappa è stata a Stoccarda, qui i ragazzi (vitto e alloggio pagati) hanno fatto un corso intensivo di tedesco («non sapevamo una parola»). L’ultimo mese hanno avuto anche uno stipendio da tirocinante. «Siamo quindi stati assegnati all’ospedale di Volklingen, un centro di eccellenza cardiologica della regione del Saarland al confine con il Lussemburgo».
La coppia di infermieri ha capito fin da subito che, forse, non sarebbe mai tornata in Italia. «La responsabile del reparto – racconta Giulio Malacarne – è venuta ad accoglierci nel parcheggio. Abbiamo trovato sorrisi e disponibilità. Io ho cambiato tre reparti e adesso sono in emodinamica, lavoro dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 16. Sono libero il sabato e la domenica, ho alcune reperibilità notturne. Alice lavora in terapia intensiva, fa i turni come in Italia, lavora 21 giorni al mese, ovviamente anche il sabato e la domenica, ma...».
E qui arriva uno dei motivi per cui i coniugi Malacarne-Lupelli sono sicuri: «No, non torneremo».
Una vita diversa
Gli infermieri dei reparti preparano un calendario dei turni “desiderati” per il mese successivo e per due mesi consecutivi. L’ospedale li valuta, suggerisce le eventuali modifiche («mai più di una, due») e il turno è fatto. Per contratto è obbligatorio avere due weekend liberi al mese. «C’è molta organizzazione e allo stesso tempo flessibilità», racconta la coppia.
Giulio Malacarne, a Careggi, avrebbe guadagnato – dice – 1.600 euro. «Anche quelli con tanta anzianità non arrivano a 2.000 euro», riferisce. «In Germania – aggiunge – un infermiere guadagna, stipendio base, 2.400-2.500 euro ma con le notti lo stipendio sale. Chi lavora in terapia intensiva, come Alice, ne prende di partenza 2.800 euro. Paghiamo di affitto, compresi riscaldamento e acqua, 720 euro al mese per un appartamento con garage. Ovviamente non siamo ad Amburgo o a Berlino ma il costo della vita è come quello dell’Italia, più basso rispetto a Firenze».
E voi siete felici?
«Sì, non pensiamo minimamente di tornare indietro. Stiamo valutando di comprare casa qui. Detto sinceramente: siamo stati da subito economicamente indipendenti, ci siamo potuti sposare in anticipo rispetto a quanto avremmo potuto fare in Italia, compreremo la casa e quando faremo dei figl, l’ospedale garantisce, facendo domanda, un asilo interno che segue i nostri orari».
Giulio e Alice probabilmente non torneranno, ma cosa di quanto visto in Germania consiglierebbero al nostro Paese? «Un intervento serio sugli stipendi e comunque un lavoro sull’attrattività per gli stranieri. Qui ce ne sono tanti, soprattutto medici: ci sono turchi, arabi, dell’Est Europa. Nel nostro ospedale, 350 posti letto, ci sono 10 medici italiani e anche il direttore del reparto di cardiologia è di origine italiana».l