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Rinaldi e il mostro di Firenze: «La prova regina fatta sparire»

di Sabrina Carollo

	una foto d’epoca di un delitto del mostro a Vicchio di Mugello, nelle campagne attorno a Firenze, nel 1984 e Pino Rinaldi
una foto d’epoca di un delitto del mostro a Vicchio di Mugello, nelle campagne attorno a Firenze, nel 1984 e Pino Rinaldi

L’alternativa alla verità giudiziaria nel libro scritto con Torrisi

11 giugno 2024
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FIRENZE. Una prova fondamentale fatta sparire, la rivalità tra uffici di indagine, una condanna ai compagni di merende che non convince per niente: "Il mostro è libero (se non è morto)" è il libro del giornalista Pino Rinaldi che, con Nunziato Torrisi, colonnello comandante del Reparto operativo dei carabinieri durante i delitti del mostro di Firenze dal 1983 al 1986, ricostruisce un’indagine precisa e ragionevole, ma abbandonata - praticamente vietata -, eseguita negli anni Ottanta proprio da Torrisi, sulla vera identità dell’assassino seriale.

«Di fronte alla sentenza di colpevolezza, che grida vendetta, e avendo letto il rapporto Torrisi, ho deciso di scrivere questo libro per dare voce all’unica persona che ha costruito un’indagine seria, che può servire per arrivare alla verità», dichiara Rinaldi. Il suo libro è stato presentato ieri sera a Firenze, al Caffè Letterario Le Murate, in un affollato appuntamento con l’autore in cui sono stati analizzati i punti oscuri della tragica vicenda che ha visto consumarsi sette duplici omicidi tra il 1974 e il 1985, oltre al possibile - probabile - antefatto del 1968. Inanellando elementi dubbi e incoerenze nelle procedure d’indagine e nella logica con cui sono state seguite le varie piste, Rinaldi sottolinea come la condanna raggiunta a carico dei compagni di merende non soddisfi affatto i requisiti del reale mostro. Di contro, un puzzle molto più convincente era stato ricostruito da Torrisi con la "pista sarda", che però venne accantonata in seguito al trasferimento improvviso a Lecce di Torrisi nel 1986, con l’impedimento di effettuare ulteriori indagini: «In questa vicenda c’è stata una guerra vera e propria che si è consumata a piazza San Firenze tra il secondo e il terzo piano, ovvero tra la procura di Firenze e l’Ufficio del giudice istruttore. Tra loro non correva buon sangue». Una rivalità che ha reso impossibile collaborare coordinando le indagini e riconoscere errori, forzando la mano su ipotesi poco convincenti: «Credo che al di là di tutto conti un livello psicologico, personale, che ha guidato, e condizionato, le indagini», prosegue Rinaldi. «Anche se viviamo nel paese di Machiavelli non credo ci siano dei disegni occulti, delle manovre straordinarie, penso piuttosto che massoneria, servizi segreti e sette sataniche vengano tirati in ballo quando gli inquirenti non ci capiscono niente. Che un secondo livello sia stato letteralmente inventato non lo dico io ma Pier Luigi Vigna nel suo ultimo libro». Nel volume emerge il profilo psicologico di quello che probabilmente è stato il mostro di Firenze, le motivazioni, l’aspetto criminologico, «tutti dati legati a fatti concreti: non c’è una parola che non sia supportata da documenti e fatti». Infine, nello scritto c’è anche uno scoop, ovvero la rivelazione del fatto che il famoso straccio trovato nell’84 a casa di Salvatore Vinci, sporco di sangue e di polvere da sparo, è stato fatto sparire, scomparso dall’Ufficio corpi di reato del Tribunale di Firenze, proprio nel momento in cui si andava in Cassazione e le moderne tecniche di analisi avrebbero potuto identificare il colpevole e far crollare il castello che ha portato alla condanna dei compagni di merende. Come conclude Rinaldi: «Quante teste sarebbero saltate, quante persone avrebbero avuto paura o si sarebbero vergognate se, grazie ai moderni strumenti di verifica, fosse stato ritrovato del dna delle vittime su quello straccio? ».

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