Satispay, Alberto Dalmasso: «Così è nata la rivoluzione dei pagamenti». I suoi consigli ai giovani
Una storia di successo imprenditoriale, ma anche un esempio di come il talento italiano possa competere a livello internazionale
Satispay, il circuito di pagamento che sta rivoluzionando il modo in cui gestiamo le transazioni finanziarie quotidiane, non è solo una storia di successo imprenditoriale, ma anche un esempio di come il talento italiano possa competere a livello internazionale.
Fondato nel 2013 da Alberto Dalmasso insieme ai cofondatori Dario Brignone e Samuele Pinta, Satispay offre un’alternativa alle carte di pagamento tradizionali, permettendo agli utenti di effettuare pagamenti nei negozi, trasferire denaro tra amici e accedere a una serie di servizi utili tramite uno smartphone e un conto corrente. A ottobre 2023 sono entrati nel mondo welfare, lanciando Satispay Buoni Pasto.
Ho avuto la possibilità di intervistare il Ceo e fondatore di Satispay, Alberto Dalmasso, classe 1984, originario di Cuneo, ed è stata un’occasione per esplorare il ruolo di Satispay nel supportare e ispirare la prossima generazione di imprenditori italiani.
Dalmasso, come è nata l’idea di Satispay?
«Ho conosciuto prima Dario Brignone. Cercavamo un modo per pagare senza contante o carte. Dario lavorava in Kazakistan, parlavamo del progetto via Skype. Nel 2013 ci siamo licenziati dai nostri lavori e abbiamo fondato Satispay. Un anno dopo, si è aggiunto anche Samuele Pinta che è stato il primo a credere nel nostro progetto. Oggi, siamo orgogliosi di essere considerati il primo “vero” unicorno italiano, una start up che supera il valore di 1 miliardo di dollari, ma sappiamo che c’è ancora molto lavoro da fare».
Il settore dei pagamenti senza contanti sta crescendo in maniera enorme. Quali sono le principali difficoltà che si possono incontrare?
«Moltissime. Ci muoviamo in un settore altamente normato e competitivo. Mantenere il team motivato e concentrato sul nostro obiettivo è stata una delle sfide più grandi. Il team di Satispay attualmente è composto da 620 persone e ha dimostrato di essere all’altezza delle aspettative».
Cosa vede nel futuro della sua impresa?
«Continueremo a crescere e a innovare per offrire soluzioni sempre più efficaci ai nostri utenti. Siamo qui per restare e per fare la differenza».
Voi avete fatto una scelta importante e non scontata, quella di mantenere il quartier generale in Italia anziché trasferirvi negli Stati Uniti, Paese dove ci sono condizioni più convenienti per molte startup. Perché questa decisione?
«Il nostro mercato è l’Europa, non sono gli USA. E siamo in Italia con l’headquarter (quartier generale) perché siamo italiani, amiamo l’Italia e ci piace lavorare affinché la nostra presenza qui possa generare valore non solo alla nostra impresa. Contribuendo a formare talenti che un domani possano avviare nuove attività qui per dare a loro volta lavoro a nuovi giovani capaci».
Come ci si prepara a essere imprenditori di questo livello? L’università è stata importante?
«L’università è importante, ma non va trascurata l’esperienza sul campo. Nonostante l’Italia sia ancora indietro sulle competenze, i giovani dovrebbero cercare di equilibrare entrambe le esperienze per massimizzare le opportunità».
Avrebbe mai immaginato di diventare un imprenditore?
«Per storia familiare e approccio direi che per tutti e tre noi soci è stato un percorso naturale diventare imprenditori. E direi anche che siamo partiti fin dall’inizio con l’idea di fare qualcosa di grande».
Un consiglio ai giovani che stanno per affacciarsi sul mondo del lavoro.
«Scegliete progetti ambiziosi, che siano vostri o di altri a cui unirvi. Le grandi sfide ci consentono di non smettere mai di crescere e imparare».
* Studente dell’istituto tecnico commerciale Zaccagna di Carrara