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Pubertà precoce, aumentano i casi in Toscana: quali sono i fattori di rischio e cosa comporta

di Barbara Antoni

	A destra Stefano Stagi del Meyer
A destra Stefano Stagi del Meyer

La nostra intervista al professor Stefano Stagi del Meyer: più fattori hanno inciso sull’alterazione della crescita. Tra questi anche un utilizzo esagerato dei dispositivi elettronici

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Le segnalazioni arrivavano a decine; i casi di pubertà precoce erano triplicati rispetto al periodo precedente al lockdown iniziato a marzo 2020. È quanto si trovò a osservare il professor Stefano Stagi, docente universitario e specialista di auxoendocrinologia del Meyer (disciplina medica che si occupa principalmente delle problematiche inerenti lo sviluppo e la crescita staturo-ponderale nel bambino e nell’adolescente in relazione a possibili alterazioni ormonali e patologie genetiche) nel periodo immediatamente successivo alla chiusura totale dell’Italia per la pandemia da Covid-19.

Una situazione che divenne palese in tutta la sua straordinarietà «nel momento in cui il lockdown stretto era finito, in pratica dal primo maggio 2020. Alla fine di luglio la casistica, si può dire quasi esclusivamente tra le bambine, si fece ancora più corposa. Fu in quel momento che facemmo la prima segnalazione alla comunità scientifica. Poco dopo l’ospedale Bambin Gesù di Roma pubblicò un dossier con gli stessi risultati», spiega l’esperto in auxoendocrinologia.

Professor Stagi, cosa era accaduto durante il lockdown per influenzare in questa misura lo sviluppo?

«La scuola in didattica a distanza, la maggiore inattività, avevano modificato la vita dei bambini. La maggiore sedentarietà aveva causato un aumento di massa corporea, seppure non particolarmente significativo. Ma soprattutto gli effetti della vita così trasformata avevano dato luogo a un aumento di stress e dell’utilizzo di dispositivi elettronici in ambito elettronico ed elettromagnetico. Tutti questi aspetti, a nostro avviso, in quel momento avevano inciso sullo sviluppo».

Questi aspetti vennero registrati solo in Italia?

«No. Ricevevamo in quel periodo decine di segnalazioni di pubertà precoci da tutti gli stati dove era stato disposto il lockdown totale. Ad esempio dalla Cina, dalla Turchia, dalla Spagna e dal Sudamerica. Anche là i casi di pubertà precoce si manifestavano con una frequenza assai più alta rispetto a prima della pandemia. Infatti avviammo una ricerca di più ampio respiro insieme alle pediatrie di Modena, Parma e Reggio Emilia. L’abbiamo proseguita fino ad aprile del 2021».

Quale manifestazione del problema indusse maggiori preoccupazioni?

«La cosa che a noi fece molta impressione furono le bambine di circa sette anni, già in situazione di pubertà precoce che avevamo visto tra febbraio e marzo 2020, quindi prima della pandemia. Tornate in visita tra maggio e giugno, mostravano una pubertà estremamente accelerata, come se in pochi mesi avessero fatto un salto di un anno. In Emilia molti i casi di bambine che stavano avendo il menarca».

Per quanto tempo si è verificato questo fenomeno?

«Per tutto il periodo del Covid. La ricerca allargata alle altre tre università ci ha consentito di studiare oltre settecento casi. Abbiamo iniziato a vederli calare dopo aprile del 2021. L’idea che all’origine di questa quantità di casi di pubertà precoce ci sia stato un effetto importante dell’ambiente è alla base dei risultati del nostro studio».

Nello studio si riporta addirittura che dallo stile di vita costretto fra le mura domestiche durante il periodo del Covid siano scaturiti segnali di allarme per la sopravvivenza della specie umana.

«Sì, è una teoria che abbiamo elaborato. Sono stato il primo a pensare che potesse esserci un collegamento. L’idea, su cui abbiamo poi riflettuto, l’ebbi una notte. Non riuscivo a dormire, pensando ai casi che stavamo studiando. Scesi in soggiorno per guardare la televisione. Stava passando un documentario sulla prosecuzione della specie animale. E mi venne da riflettere che in tutto il mondo animale, i veri artefici della prosecuzione della specie sono le femmine. Di maschi teoricamente può bastarne uno. Con la dottoressa Maria Elisabeth Street (neuropsichiatra infantile, docente all’università di Parma, ndr) facemmo uno studio neurocomportamentale. I bambini in pubertà precoce erano molti meno delle bambine. È come se nel lockdown fosse stato percepito un pericolo per la nostra specie. È la risposta, da un punto di vista antropologico, a cui siamo arrivati per spiegare l’incidenza di pubertà precoci molto più alta tra le bambine rispetto ai bambini».

Oggi, con la vita tornata alla normalità, quanti nuovi casi di pubertà precoce arrivano al Meyer?

«Al momento siamo a una media di 4,1 casi al mese, quasi come nel periodo pre-Covid».

Quali problemi può causare una pubertà precoce?

«Soprattutto problemi nella crescita, che si interrompe molto prima. Anche una statura molto più bassa».

Oltre all’aumento dei casi di pubertà precoce, avete visto crescere la presenza di patologie nei bambini dopo il lockdown?

«Dal nostro osservatorio è emerso un grosso aumento di casi di anoressia, anche di diabete di tipo uno. Il fatto è che la pandemia ha sottoposto tutti, adulti e bambini, a uno stress senza precedenti. Probabilmente i bambini ne hanno sofferto molto di più. E forse gli adulti non se ne sono accorti».

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