Pistoia, padre satanista sotto accusa per la morte del giovane figlio
Il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per istigazione al suicidio: «Lo convinse di essere Satana e di doversi sacrificare in suo nome»
PISTOIA. Era convinto che il padre fosse satana, e che lui, suo “primogenito serafino”, si dovesse sacrificare in suo nome. Per accedere all’immortalità. E il primo gennaio 2018, giorno, secondo al calendario satanico, dedicato al demone Ose, si era tolto la vita, a vent’anni, impiccandosi in quella stessa soffitta in cui il padre lo aveva introdotto alle pratiche occulte. Affidando le motivazioni del suo gesto a due farneticanti pagine scritte a mano, lasciate su un tavolo tra libri ed effigi raffiguranti satana e i vari demoni da adorare.
A quasi sei anni da quella tragedia, la procura della Repubblica di Pistoia, ha chiesto il rinvio a giudizio del padre del giovane. L’uomo, 50 anni, è imputato del reato di istigazione al suicidio.
Secondo l’accusa, il tragico gesto sarebbe stato una diretta conseguenza dell’opera di “proselitismo familiare” attraverso la quale il padre aveva avviato il figlio maggiore (così come quello minore) alle pratiche sataniste. «In tale contesto di cultura e convinzioni sataniche – si legge nel capo di imputazione con il quale è stato chiesto il rinvio a giudizio – maturava la convinzione di diventare immortale attraverso il sacrificio della propria vita e quindi si determinava al suicidio». «Mio padre è satana, mi ha dato il dono dell’immortalità... Quando mio padre mi disse se ero con lui, io risposi di sì. Gli chiesi perché morirò. Il perché è logico, mi devo sacrificare per lui. È colui che mi ha creato», aveva lasciato scritto il giovane prima di togliersi la vita il primo giorno dell’anno.
In un primo momento, al termine delle lunghe e approfondite indagini portate avanti dai carabinieri di Quarrata, il pubblico ministero titolare dell’inchiesta, pur condividendo la ricostruzione fatta dagli investigatori, aveva presentato al gip del tribunale una richiesta di archiviazione del caso, ritenendo non ci fossero prove sufficienti per sostenere la tesi accusatoria in un eventuale processo e per arrivare a una condanna.
Valutata però la relazione conclusiva sul caso dei militari dell’Arma, il giudice delle indagini preliminari ha respinto la richiesta del pubblico ministero, invitandolo a formulare il capo d’imputazione e a depositare la richiesta di rinvio a giudizio per il reato di induzione al suicidio.
Il gip ha ritenuto infatti che vi fossero indizi gravi, precisi e concordanti sul fatto che il cinquantenne (che in quel periodo si trovava in carcere ma che pochi giorni prima del suicidio aveva avuto un colloquio con il giovane) fosse consapevole degli intenti del figlio e che abbia contribuito al rafforzamento di questa volontà o, addirittura, all’ideazione stessa del suicidio.
Le indagini avrebbero accertato – attraverso delle intercettazioni ambientali – come fosse ben noto, nell’ambito familiare, come l’uomo, che si proclamava “satanista spirituale”, celebrasse i suoi rituali nella soffitta di casa e come avesse avviato a tale culto il figlio e come quest’ultimo fosse assoggettato al volere del padre, che era arrivato a identificare con satana stesso.
Secondo gli inquirenti, il padre sarebbe stato a conoscenza dell’intento del figlio e addirittura delle modalità con cui avrebbe messo in atto il suicido: i particolari sarebbero stati indicati in uno scritto che il giovane aveva portato con sé quando, il 30 dicembre, era andato a trovarlo in carcere, visto che, parlando con la moglie qualche giorno dopo la tragedia, aveva mostrato di essere a conoscenza di dove e come si era tolto la vita senza che qualcuno fra il personale penitenziario lo avesse informato a tale proposito.
Fatto sta che il giovane si era ucciso il primo gennaio 2018, impiccandosi con una corda legata a due barre di metallo piantate nel muro della soffitta. A scoprire il suo corpo privo di vita, i vigili del fuoco, il cui intervento era stato chiesto attorno alle due e mezzo di notte dai familiari, sempre più preoccupati dal fatto che il ventenne non rispondesse al cellulare e che la porta di casa fosse chiusa a chiave dall’interno: invano avevano ripetutamente suonato il campanello, nonostante la luce del salotto fosse accesa. Inutili i soccorsi da parte del 118: il decesso risaliva a diverse ore prima.
Intervenuti sul posto, i carabinieri si erano trovati di fronte allo scritto lasciato dal ragazzo e al materiale satanista che era nella soffitta. E avevano subito dato il via alle indagini ipotizzando fin dal primo momento un qualche collegamento tra la morte e i riti occulti legati proprio all’adorazione di Satana.