Il Tirreno

Toscana

Grandi Amori
L’intervista

Anna Pavignano: «Con Troisi ci siamo conosciuti e non ci siamo mai davvero lasciati»

di Clarissa Domenicucci
Anna e Massimo ai tempi in cui erano fidanzati
Anna e Massimo ai tempi in cui erano fidanzati

La scrittrice e sceneggiatrice è stata la “ragazza per sempre” dell’indimenticato attore. Insieme per dieci anni, il loro sodalizio artistico ed emotivo non è mai finito

28 agosto 2023
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Parliamo d’amore con Anna Pavignano. Scrittrice e sceneggiatrice, candidata all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale (“Il Postino”); una donna elegante, osservatrice arguta che con la sua penna ha impreziosito il cinema italiano negli ultimi decenni.

Complice preziosa per raccontare Massimo Troisi, fu sua compagna di vita per un decennio e co-sceneggiatrice “per sempre”, stretti in una sinergia amorosa e creativa indispensabile.

Anna scrive fin da giovanissima, ma non immagina che quella passione diventerà la sua professione e che la porterà così lontano. Tutto comincia con un incontro. A 22 anni in uno studio televisivo conosce Troisi: lui ne ha 25, si innamorano perdutamente, diventa il primo grande amore della vita e segna uno spartiacque tra il prima e il dopo. Ci parla di “quel grande amore” che le ha cambiato la vita come solo una scrittrice sa fare: prende le distanze, si allontana un po’ per guardare la storia nell’insieme e la divide in capitoli. «Tutti gli amori, se importanti, imprimono una svolta alla vita delle persone; ogni incontro profondo produce una scossa. Oggi che ho una certa età – esordisce – posso dire di aver vissuto due o tre vite e altrettanti amori, così diversi tra loro e così fondamentali. Storie che mi hanno dato quello di cui avevo bisogno in quel determinato momento».

Capitolo numero uno: il primo amore, Troisi.

«Massimo è stato l’amore giovanile e gli amori giovani, si sa, producono scossoni. Con lui ho vissuto la prima storia da adulti nonostante i nostri pochi anni: non ci sentivamo affatto due ragazzini. Fu un incontro sconvolgente e creammo una condivisione profonda. Abbiamo condiviso passione, innamoramento e, quando le cose tra noi sono cambiate, abbiamo continuato a condividere pensieri e progetti, solo lavorativi. Non so di chi sia stato il merito, ma sono certa che sia questo il dono più prezioso della nostra storia: non esserci mai, mai persi».

Insieme scrivete le sceneggiature di “Ricomincio da tre” (1981), “Morto Troisi, viva Troisi!” (1982), “Scusate il ritardo” (1983), “Le vie del Signore sono finite”. Quando, nel 1987, la vostra relazione finisce, continua il sodalizio professionale con “Pensavo fosse amore.. invece era un calesse” e “Il Postino”. Non più in coppia, ma insieme fino al 1994, anno della sua morte.

«Anche quando le questioni amorose sono cambiate abbiamo deciso di voler rimanere un punto di riferimento per l’altro. Era un progetto che un po’ rientrava nell’idealizzazione di questa storia d’amore all’inizio praticamente perfetta, ma poi andò realmente così. La verità è che da quando ci siamo conosciuti non ci siamo più lasciati».

In questa rubrica lo abbiamo scritto più volte: finiscono le storie, non finisce l’amore.

«Spesso tra due persone che si vogliono bene davvero finisce la possibilità di stare insieme, mutano gli equilibri, ma non finisce l’amore. È difficile stare qui a dire cosa finisce veramente».

È un atto d’amore lasciarsi andare senza perdersi, continuare a seguire il volo dell’altro, a giusta distanza. Voi ci siete riusciti.

«Cancellare con un colpo di spugna tutto quello che c’è stato è un grande peccato, ma questo non significa che le trasformazioni dei rapporti non costino sofferenza o fatica. Altroché! Si deve essere disposti ad attraversare una certa sofferenza per salvare un rapporto importante ma ne vale la pena: essere il punto di riferimento l’uno per l’altro per tutta la vita è una lezione».

Una lezione pesante che mette al bando gelosia, nostalgia, possesso…

«Se non si prova a dominare questi sentimenti si buttano via cose importanti. In quegli anni era quasi una scelta culturale costruire rapporti sulla condivisione e non sul possesso, oggi invece ci si abbandona al senso del possesso e può diventare molto pericoloso».

Quanta sofferenza le è costata allontanarsi da quel grande amore continuando ad averlo sotto gli occhi?

«È stato tutto molto faticoso. Io so quanto è stato faticoso per me, non so quanto lo sia stato per Massimo perché non ne abbiamo mai parlato. Non eravamo due amiconi, era complicato affrontare il discorso “noi” e quindi non ho mai saputo cosa lui abbia provato quando mi sono sposata o quando ho avuto il primo figlio».

Torniamo agli anni insieme.

«Massimo leggeva i miei scritti, spesso lo facevamo insieme, e ci confrontavamo se aveva una nuova idea da proporre al gruppo per “La Smorfia”. Venne naturale iniziare a lavorare insieme. Da Torino mi sono trasferita a Roma, mia madre mi guardava storto, avrebbe preferito un percorso più canonico. Ufficialmente non abitavamo insieme. Per scrivere “Ricomincio da tre” affittammo a Nemi una villetta appartata dove per 7 mesi vivemmo lì: io, Massimo, Lello Arena e Gaetano Daniele che poi è diventato il produttore dei suoi film. Nella casa accanto viveva Enzo De Caro. Poi ci trasferimmo a Roma, sempre tutti insieme, in una casa in affitto. Con Lello, Enzo e Gaetano, Massimo aveva una storia di amicizia antica. Erano gli amici di sempre, quelli del paese, degli inizi. Si sentiva protetto e divertito ad averli sempre intorno».

Cosa ricorda della scrittura de “Il Postino”, ultimo capolavoro?

«La voglia di Massimo di portare a termine questo progetto. Quando decise di farlo stava ancora bene, era un desiderio nutrito di entusiasmo, di energia. Poi la voglia si è trasformata in ostinazione, in un volerlo fare a tutti i costi; Massimo non credeva che fosse il suo ultimo lavoro, ma voleva fortemente dare una svolta alla sua carriera. Il resto lo ha scritto il destino che ha reso questo film così metaforico e simbolico».

Durante la stesura Troisi viveva in America. Come mai?

«Per puro piacere. In America riviveva l’emozione di non essere riconosciuto per strada, ma allo stesso tempo godeva dei privilegi dell’attore famoso. La scrittura fu una vera staffetta: io scrivevo in Italia, Massimo in America e Michael Radford un po’ qui e un po’ lì».

Come ha vissuto la morte prematura di un uomo a cui era stata così legata?

«Come un doppio lutto. L’ho perso la prima volta quando ci siamo lasciati e la seconda è stata uno strappo violentissimo e inatteso. È stato come se avessi perso un arto e quando hai un pezzo che ti appartiene non pensi proprio di poterlo perdere. Reagisci, rimuovi, sopravvivi, fai terapia e col tempo elabori, come tutti di fronte alla perdita».

Gli uomini che sono venuti dopo Massimo si sono mai sentiti in competizione con lui?

«Non quelli che ho amato, troppo intelligenti per fare della competizione un valore. Però è capitato di percepire in alcune frequentazioni questo stupido senso di confronto e di sentirmi giudicata quasi come un trofeo, in qualità di “ex di”».

Dopo la fine della storia con Troisi si apre il secondo capitolo. A quel punto della sua vita di cosa aveva bisogno?

«Di una situazione più familiare, avevo 30 anni e volevo una famiglia. Il secondo “scossone” è stato l’incontro con Alfredo, il papà dei miei figli, un amore diverso fatto di sicurezza, di casa, di cose reali. Oggi Alfredo non c’è più. È stato l’amore della costruzione, della famiglia e al suo fianco ho vissuto l’unico periodo della vita che rimpiango: l’infanzia dei miei figli».

È stato il suo periodo di grazia?

«Guardi, lungi da me l’idea di idealizzare la maternità, ricordo grandi stanchezze e fatiche – sul tema ho scritto anche un libro, “La prima figlia (ed. E/O) – però i momenti di condivisione massima con i figli sono i più importanti della mia vita. Non rimpiango la mia giovinezza ma la loro infanzia».

Oggi è innamorata?

«Sì. Il terzo capitolo della storia si apre con l’incontro tra due persone adulte e con un grosso vissuto alle spalle: sposati, divorziati e con figli. Io e Valerio, mio marito».

Come descriverebbe il vostro amore?

«Un rapporto sano basato sulla protezione, il sostegno reciproco e la fiducia. È un amore tra due persone adulte consapevoli di non essere più dei ragazzini ma che tengono alla parte giocosa del rapporto e la mantengono intatta».

Quale consapevolezza oggi la rassicura?

«Sai che è il tuo ultimo amore, ma non è una cosa triste. Sono contento e rassicurata dal poter invecchiare con lui».




 

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