Così in Toscana nacque e prosperò l’industria siderurgica
Nel 1908 il primo stabilimento a ciclo integrale voluto da Società Altiforni e Acciaierie d’Italia
* Università di Pisa
A metà Ottocento la Toscana attirava viaggiatori da tutto il mondo, incuriositi, oltre che dallo straordinario patrimonio artistico di città e borghi, da una affascinante agricoltura, in grado di restituire la bellezza del panorama lavorato con ordine e armonia dall’uomo. Accanto a questa formidabile opera d’arte a cielo aperto, esistevano tuttavia, in alcuni territori del Granducato, esperienze industriali tutt’altro che trascurabili. Oltre alla nascente manifattura serica, legata all’agricoltura mezzadrile, avevano preso corpo iniziative di natura imprenditoriale riconducibili, a vario titolo, alla siderurgia. Erano ancora vive, e vitali, le ferriere a carbone di legna che erano presenti nell’Isola d’Elba - appaltate già da Leopoldo II a privati rampanti come il livornese Pietro Bastogi -, nell’Appenino pistoiese, in Versilia e in Maremma.
La forza di simili imprese discendeva dal fatto che erano in grado, nonostante una sostanziale arretratezza tecnologica, di approvvigionare aree periferiche non raggiungibili dai grandi produttori esteri. Subito dopo l’Unità d’Italia, un vero e proprio "distretto" del ferro si sviluppò nel Valdarno, in particolare a San Giovanni Valdarno, dove veniva estratta la lignite e dove si creò una rete di officine, all’interno di un modello produttivo sostenuto dalle banche e dall’aristocrazia fiorentina. Con queste premesse il 24 settembre 1872 fu costituita formalmente la società anonima per azioni "Società Italiana per l’Industria del Ferro", con domicilio a Firenze. Il Valdarno diventava così un’area industriale che intendeva produrre ghisa e fare concorrenza alle vecchie ferriere regionali. Anche all’Elba, del resto, verso la fine del secolo, la produzione cominciò ad assumere caratteri più innovativi con la nascita, nel 1899, della "Società Elba Anonima di Miniere e Altiforni". Nell’economia italiana, soprattutto durante il successivo periodo giolittiano, si faceva strada l’idea di dotare il paese di una industria pesante da utilizzare, tramite il sistema delle commesse, per la realizzazione di un vero sistema infrastrutturale e la Toscana era pienamente inserita in tale disegno. Ma la zona dove l’industria siderurgica si sviluppò maggiormente fu quella di Piombino.
Qui si registrarono i più significativi avanzamenti tecnologici; nel 1866 fu introdotto il primo convertitore Bessemer, utilizzato dalla Magona d’Italia, nel 1875 arrivò il primo forno Martin-Siemens presso lo Stabilimento Metallurgico, e tra il 1902 e il 1905 furono installati il primo e il secondo altoforno a coke italiano, presso la Società Altiforni e Fonderie di Piombino, che operava però a Portoferraio. Nell’area piombinese, soprattutto, fu realizzato il primo stabilimento a ciclo integrale, nel 1908, dalla Società Altiforni e Acciaierie d’Italia. Piombino era diventata, in altre parole, in pochi anni una delle sedi più importanti della siderurgia europea dove, accanto alla crescita economica, si manifestavano grandi tensioni sociali. Le pessime condizioni di vita dei lavoratori, i bassi salari, gli orari impossibili e le cattive condizionali ambientali generarono scioperi e lotte sindacali in impianti in cui lavoravano ormai ben 2.500 persone, pagate dalle tre alle sei lire all’ora per turni di 12 ore. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale significò un ulteriore, maggiore impegno per gli stabilimenti piombinesi e la Società Altiforni e Acciaierie d’Italia entrò a far parte del Consorzio Ilva, destinato tuttavia a scontare varie difficoltà per le non semplici esigenze di riconversione produttiva. La scelta di Ilva fu quella di orientarsi in modo particolare verso la realizzazione di rotaie ferroviarie.
I successivi anni Trenta videro una ristrutturazione aziendale importante che culminò nell’assorbimento della stessa Ilva nell’Iri, durante il 1936, e in Finsider l’anno seguente: le maestranze restavano superiori alle 2.600 unità. Era nata così, in maniera definitiva, l’industria siderurgica di Stato. La Seconda Guerra Mondiale provocò pesantissimi danni agli impianti piombinesi. Il 10 settembre 1943 le truppe tedesche presero possesso dello stabilimento che fu però raso al suolo dai durissimi bombardamenti alleati, protrattisi per otto mesi. Nel gennaio del 1946 alcuni impianti furono in grado di ripartire ma si dovette attendere il 1951 perché venisse inaugurato l’altoforno uno. Già dal 1952 lo stabilimento piombinese riuscì, quasi miracolosamente, a raggiungere e a superare i livelli produttivi prebellici, sfruttando in pieno i benefici del Piano Sinigaglia, avviato fin dal 1948. La ripresa comportò, tuttavia, una pesante ristrutturazione che nel 1953 vide il licenziamento di oltre 700 lavoratori; una linea che scatenò l’aspra risposta sindacale.
Nel 1957, dopo anni di tensione, l’Ilva contava 2.500 addetti su una popolazione residente che raggiungeva le 30.000 unità. Ormai le strategie politiche erano decisive per un settore interamente pubblico e non sempre si rivelavano opportune. Nel 1961 l’Ilva si fuse con Cornigliano per dar vita a Italsider Altiforni e Acciaierie Riunite Ilva e Cornigliano. La prospettiva era quella dei grandi poli che avrebbero dovuto essere competitivi su scala globale, ma che in realtà scontavano una bassissima produttività e vari errori nelle scelte di investimento. Dal 1969, oltre a produrre rotaie, Piombino cominciò a realizzare acciai speciali; una diversificazione che funzionò poco. Nel 1981, le Acciaierie di Piombino acquistarono gli stabilimenti di Marghera e San Giovanni Valdarno e l’azienda cambiò ancora una volta nome in Deltasider spa, con l’ingresso della ex Breda Siderurgica e della ex Acciaieria Fiat; un impegno finanziario e debitorio davvero troppo grande in un mondo dove la concorrenza dei nuovi "giganti" diventava sempre più forte. La crisi dell’Ilva condusse alla fine della proprietà pubblica e all’arrivo di un proprietario privato costituito dal Gruppo Lucchini di Brescia. Era finita così la storia di una delle più grandi aziende pubbliche che aveva preso le mosse nel contesto agricolo della Toscana ottocentesca.