I sub disidratati e in grave ipotermia: «Ma salvammo tante persone»
Paolo e Stefano sono i due sommozzatori dei vigili del fuoco che per primi entrarono dentro la nave dopo il naufragio
ISOLA DEL GIGLIO. Quando lo hanno chiamato per dirgli che una nave era affondata, l’ha presa a ridere: pensava fosse una scherzo. «Gli ho detto: sì, il Titanic l’ho visto l’altro giorno in televisione». Poi è sbiancato. Ha preso le chiavi di casa, ha salutato la moglie con uno sguardo ed è uscito. «Quello sguardo le è bastato a capire che era successo qualcosa di grave: le nostre mogli sanno che lavoro facciamo», racconta Paolo Scipioni, sommozzatore dei vigili del fuoco, appena sbarcato all’isola del Giglio dove, dieci anni fa, intervenne per il naufragio della Costa Concordia. Con lui c’è anche Stefano Bartolommei, uno dei primi sommozzatori a entrare, poco dopo la mezzanotte, dentro nave da crociera.
«Me lo ricordo questo pontile – dice Scipioni –: appena arrivai, in elicottero, mi trovai questo gigante davanti e mi dissi “e ora da dove iniziamo?”». Iniziò indossando la muta. Erano le 23.30 circa. Poi si gettò in mare. «Abbiamo cercato di salvare più persone possibili – racconta –. Trovammo anche una vittima, la prima accertata. Si chiamava Jean Pierre. Prima di lui salvammo la moglie. Era in completo stato di ipotermia. Fu a lei a gridarci “mon mari, mon mari” e iniziammo a cercarlo ovunque. Lo trovammo in acqua a pancia in giù: era morto».
Scipioni riuscì a salvare anche due giovani ancora chiusi dentro la nave. «Io e un altro collega ci avvicinammo a nuoto perché la motovedetta non poteva, ma non avevamo nulla per rompere il vetro. Alla fine si avvicinò un gommone della Finanza e ci diedero una mazzuola. Con quella, dopo vari tentativi riuscimmo a romperlo e a salvarli. Erano due ragazzi filippini».
Scipioni, quella notte, si tolse la muta alle 5.10 di mattina. «In realtà me la tolsero, io non era in grado di farlo da solo perché non avevo più movimenti volontari. Quella notte, per la prima volta, provai l’ipotermia. L’adrenalina a un certo punto era finita e iniziai a sentire freddo. Fu una notte dolorosa».
Per Bartolommei non era il freddo ma la sete il problema principale. «Siamo entrati poco dopo la mezzanotte – racconta – e siamo usciti all’alba. Avevamo una muta da cinque millimetri, ma lavoravamo all’asciutto: avevamo problemi di idratazione e di sete». Non si ricorda quante persone ha salvato. «Andavamo avanti e accompagnavamo su chiunque trovassimo per affidarlo agli elicotteri». Su quella nave c’erano oltre 4.200 persone e molte sono vive grazie a loro.
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