Il Tirreno

L’intervista

“Tutto chiede salvezza 2”: la super saga del regista livornese Bruni è ancora più toscana

di Claudio Marmugi
Francesco Bruni con Federico Cesari durante un ciak
Francesco Bruni con Federico Cesari durante un ciak

Torna su Netflix la serie dei record del romano-livornese che si arricchisce di toscanità con Drusilla Foer nel cast

26 settembre 2024
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Tutto chiede ancora salvezza. Esce oggi, giovedì 26, in streaming su Netflix “Tutto chiede salvezza 2”, seconda stagione della serie dei record, vincitrice del Ciak d’oro come miglior serie italiana del 2022, diretta da Francesco Bruni, romano di nascita e livornese di formazione, che ha tratto la storia dal libro omonimo di Daniele Mencarelli (anche co-sceneggiatore con lo stesso Bruni, Francesco Cenni e Daniela Gambaro). Al centro dei cinque nuovi episodi sempre i due protagonisti Daniele Cenni (interpretato da Federico Cesari, già star di “Skam Italia”) e Nina Marinelli (Fotinì Peluso, già protagonista della serie “Romanzo Famigliare” di Francesca Archibugi ambientata a Livorno e del film di Bruni “Cosa sarà”), incontratisi in un reparto di psichiatria romano dove erano stati (forzatamente) ricoverati per un trattamento sanitario obbligatorio.

Adesso sono passati due anni da quelle vicende e i due ragazzi sono diventati genitori. Intorno a loro, vecchi e nuovi personaggi del medesimo reparto di psichiatria, dove questa volta Daniele ritorna, non più come paziente ma come infermiere tirocinante. Tra le new entry, Drusilla Foer (personaggio creato dell’attore Gianluca Gori) che interpreterà Matilde. Ieri, alla vigilia dell’uscita della serie abbiamo intervistato il regista Francesco Bruni per fare il punto sulla sua opera e la sua carriera.

Bruni, è teso per questo nuovo debutto?

«Siamo in attesa del lancio sulla piattaforma ma sono relativamente tranquillo: i riscontri delle anteprime e delle prime recensioni sono molto positivi. Io non so di preciso cosa gradisca il pubblico, altrimenti farei solo successi, però sono molto sereno. Guarderemo la serie con tutto il cast giovedì pomeriggio – tanto sono 4 ore e un quarto totali, si presta bene a una visione filata».

Com’è stato costruire la seconda serie senza un libro di riferimento, che invece aveva guidato la prima?

«In realtà, noi avevamo già “apparecchiato” per andare avanti. Tutto il team creativo voleva continuare, Daniele Mencarelli compreso. Il fatto che lui, autore del romanzo originario, fosse così entusiasta del progetto mi ha confortato. Credo sia un caso abbastanza unico aver messo su “il seguito di un romanzo senza il romanzo”, ma eravamo pronti. Se ci pensate bene la sospensione finale della prima serie, in bilico sul trampolino con Nina che dice “Forse sono incinta” era un enorme gancio alla stagione successiva. I personaggi ci ispiravano molto; tutti, non solo i protagonisti... E abbiamo già le idee, servissero, per la terza stagione.

La diverte la serialità?

«Non è che ne abbia tutta questa esperienza di serialità perché il commissario Montalbano (che Bruni sceneggia fin dal primo episodio, ndr) è più una collana di film che una serie vera e propria. Con Virzì ho scritto i due film di “Ferragosto”, ma nel mezzo son passati 25 anni. Forse “Il giovane Montalbano” è più seriale. Quella della serie è una dimensione che mi piace perché ti consente di fare “le saghe”, veder crescere i personaggi e quando i personaggi sono “belli rotondi” ti danno un sacco di suggestioni».

Sa che i giovani, grazie ai suoi lavori cinematografici e televisivi, la adorano perché sa parlare bene di loro?

«La dimensione della gioventù è una dimensione attraverso la quale siamo passati tutti e dovrebbe aver lasciato una bella traccia nella corteccia cerebrale. Io ho due figli e li ho sempre seguiti attentamente. Abito a Trastevere e osservo quello che mi accade e vive intorno, sia nel positivo che nel negativo. Ho visto il disagio con manifestazioni anche violente – e questo è il negativo –, ma ho visto pure tanto di positivo, come l’esperienza dei ragazzi del Cinema America. Spesso ho raccontato quello che vedevo, ma questo lo può fare chiunque. Casomai, forse, ho cercato di rappresentare i giovani come sono davvero: complessi e mai stupidi, lontani da uno stereotipo».

È possibile che “Tutto chiede salvezza”, col suo grido di aiuto dei giovani, sia stata anche la serie giusta nel momento giusto?

«C’è bisogno di ascoltare i ragazzi. Credo che il Covid sia stata la goccia che fatto traboccare il vaso di un momento storico negativo per i giovani, che è cominciato con le prospettive occupazionali ridotte al minimo, continuato con le guerre che hanno infiammato il mondo, sublimato dai social come forma di isolamento che favoriscono e alla rappresentazione del sé fasulla alla quale ti costringono. Io ho sempre cercato di non essere giudicante verso di loro».

Quali sono i suoi progetti futuri?

«Dovrei/vorrei fare un film l’anno prossimo ma non è scontato, visto lo stato molto incerto in cui versa il cinema italiano in questo momento storico. Se il pubblico decidesse di premiare questa seconda stagione come la precedente, può essere anche che prima torni ad occuparmi dei personaggi di “Tutto chiede salvezza 3”».

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