Da Klee a Hirst, si viaggia nell’arte del Novecento
A Palazzo Medici Riccardi in mostra le opere delle collezioni private
L’arco del Novecento sarà anche breve, come ci ricorda Eric Hobsbawn. Ma certo l’impulso che il secolo ventesimo ha impresso ai movimenti e alle panoramiche dell’arte, disegna una itinerario quanto mai lungo di scoperte, ambizioni, innovazioni, sperimentazioni. Un precipitato di creatività che a partire dall’invenzione del cinema ha goduto di terreni di indagine fino ad allora inimmaginabili, confluiti nelle nuove frontiere tecnologiche.
Nel dipanarsi di un frenetico crocevia segnato dagli sbalzi delle cosiddette avanguardie, resiste e persiste l’impalcatura del mecenatismo, quel dialogo fra artista e committente che respira di energie inedite, dettate anche da passioni personali quando non da convenienze di mercato e utilitarismi professionali. Questo per dire che il ritmo della creazione artistica è spesso mosso e motivato da dinamiche esterne, a significare l’importanza e la rilevanza del collezionismo. Di chi lo insegue e lo incalza. Di quella “voce” appartenente alla sfera del privato, il Novecento si è fatto espressione. Totalizzando il massimo dei contenuti. Stabilire un contatto che la collega al passato può essere utile spunto di riflessione.
E siccome il fiorentino Palazzo Medici Riccardi è, per così dire, l’espressione materiale, il luogo fisico e concreto dove è nato il collezionismo moderno di ascendenza rinascimentale all’epoca di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo Il Magnifico, è giusto che, nel tripudio di iniziative e vetrine e passerelle che caratterizza questa settimana fiorentina, a Palazzo Medici Riccardi ci finisca una salutare selezione di opere di maestri del “secolo breve”, frutto di quella “voce”, provenienti appunto da collezioni private.
Così il titolo ordito dal curatore Sergio Risaliti parla chiaro: sia in senso individuale motivazionale, “Passione Novecento”, che storico collettivo, “Da Paul Klee a Damien Hirst”. Insomma di questi tempi di invadente, a volte forzato, “dialogo”, anche questo ponte lanciato fra l’ieri e l’oggi, ha il suo appeal.
Tanto più se supportato da opere di prim’ordine. Firmate fra gli altri, oltre i terminali di testa, da Manzù, De Chirico, Juan Mirò, Morandi, Savinio, Guttuso, Carla Accardi, Ai Weiwei, Osvaldo Licini, Fontana, Burri, Melotti, Boetti, Warhol, Lichtenstein, Daniel Buren fino a quel Olafur Eliassson che ha occupato con trionfale, unanime consenso la corte e le sale di Palazzo Strozzi. Il tutto a dimostrazione di una continuità di pulsioni e sentimenti, di desideri e ambizioni che distinguono senza interruzione lo stato d’animo del collezionista.
«Il viaggio che si dipana a Palazzo Medici Riccardi – spiega Sergio Risaliti – costruito sulla base di un amore per le opere moderne e contemporanee non deve sorprendere in una città come Firenze, perché un fil rouge lega le antiche famiglie dei Sassetti e dei Tornabuoni, dei Medici e dei Doni, dei Gondi e dei Rucellai ai collezionisti privati di oggi. Il cui cuore batte per i grandi innovatori, artisti che hanno dato vita a nuovi linguaggi ed a nuove pratiche, a ricordare come tanto l’arte quanto il collezionismo siano sempre contemporanei».
Grazie al collezionismo e al mecenatismo, nato in particolare nelle “camere” e negli studioli di questo monumentale edificio affacciato su via Cavour, si è affermata l’autonomia delle opere d’arte, apprezzate per se stesse, curate, contemplate, archiviate, selezionate. «Dalle raccolte private – conclude Risaliti – dagli studioli e dai salotti dei gran signori, sono poi nati i primi musei moderni. Dall’amore per l’arte, dal culto degli antichi, dal desiderio di emulazione è anche nata una delle prime accademie, quel mitico giardino di San Marco patrocinato da Lorenzo il Magnifico, che fu la palestra del giovane Michelangelo».
La mostra, promossa da Città Metropolitana di Firenze e organizzata da Muse, resta aperta fino all’8 gennaio. Chiusa il mercoledì. Info 055 2760552.l