Il Tirreno

Ironico e inflessibile, l’uomo che domò i partiti Jader Jacobelli, il signore delle tribune politiche

PAOLA TADDEUCCI

Grande autorevolezza. I suoi confronti registrarono i record di ascolti sul primo canale: fino a 15 milioni di telespettatori  

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PAOLA TADDEUCCI

A un collega non troppo gentile verso Enrico Berlinguer, alla fine disse stremato: «Proprio non capisco perché lei si agita tanto». Se Jader Jacobelli potesse guardare i talk show di oggi, dove gli ospiti urlano, parlano uno sull’altro, spesso si insultano, si metterebbe le mani nei capelli e forse, unica volta nella sua carriera, alzerebbe bandiera bianca. Il giornalista, volto notissimo della Rai dagli anni Sessanta agli Ottanta, era convinto che il servizio pubblico dovesse entrare nelle case degli italiani con educazione, «togliendosi le scarpe» amava dire. Così fece dal 1964 al 1986, alla direzione e conduzione delle Tribune politiche, trasmissioni di approfondimento politico – nate sulla scia delle Tribune elettorali inaugurate nel 1960 – che prevedevano la presenza di un moderatore e di uno o più giornalisti esterni alla Rai, ammessi per sorteggio, per rivolgere domande ai politici presenti in studio.

Nello svolgimento del delicato incarico vennero riconosciuti a Jacobelli equilibrio, rigore, correttezza, imparzialità, autorevolezza e garbo, che conservò anche quando si trovò a gestire i dibattiti più accesi. Nato a Bologna il 24 giugno 1918 e morto a Roma il 19 marzo 2005, dopo gli studi di filosofia Jacobelli era entrato in Rai nell’immediato dopoguerra, assumendo la direzione del Radiocorriere. Il 25 giugno 1946, primo giorno di seduta dell’Assemblea costituente, aveva cominciato inoltre a condurre alla radio la rubrica quotidiana “Oggi a Montecitorio”, poi trasformatasi in “Oggi al Parlamento”, curata fino al 1964. In quell’anno il direttore della Rai, Ettore Bernabei, gli affidò le Tribune. «A dir la verità – raccontò Jacobelli in un’intervista nel 2001 – prima di accettare puntai i piedi. Dissi a Bernabei che non ero adatto per la tv. E poi mi mangio le “s” e le “z”, da bolognese. Ma Bernabei non era uno che sentiva ragioni e mi rispose: “Non si preoccupi, ormai alla tv parlano cani e porci”». Peraltro quella esse strascicata – la lisca – fu la carta vincente per una delle parodie più famose di Alighiero Noschese, allora il re degli imitatori, che contribuì a rendere il giornalista ancora più popolare.

Jacobelli, infatti, superò ben presto le perplessità iniziali e si impose subito per la correttezza e l’imparzialità delle Tribune, alla cui conduzione si alternava con colleghi altrettanto famosi, tra i quali Ugo Zatterin e Villy De Luca. Introdusse il criterio paritetico, la par condicio, teso a rendere tutti i partiti uguali agli occhi degli spettatori. «Un servizio pubblico di parte – era sua opinione – non serve più a nessuno, neppure a chi crede di servirsene, perché diviene controproducente e crea alternative tensioni nel Paese». Implacabile nel concedere tempi stretti e uguali agli ospiti, non faceva sconti a nessuno. Garbato, ma così ironico da non risparmiare battute se un discorso gli sembrava fumoso. «Onorevole – disse al democristiano Mariano Rumor, all’apice della sua potenza (fu presidente del Consiglio per cinque volte e ministro per quattro) – sia chiaro: non faccia come il bikini che mostra molto, ma nasconde il meglio».

A volte Jacobelli si arrabbiava, minacciava di disattivare il microfono, ma «era come sorretto da un’invisibile energia pacificatrice – scrive Giorgio Dell’Arti nel suo sito “Cinquantamila.it” – e riusciva a riportare al decoro della ragione molti scalmanatissimi ospiti: forse il più grande tra tutti i moderatori della tv». Riuscì a superare situazioni politicamente delicate, come nel maggio 1978 quando i radicali Emma Bonino e Marco Pannella si presentarono imbavagliati e restarono muti per tutti i dieci minuti della trasmissione per protesta contro la Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Ebbe a che fare con Bettino Craxi, segretario del Psi e presidente del Consiglio dal 1983 al 1987, che tamburellava con le dita sul banco durante le domande e con Giorgio Almirante, deputato del Msi, che tirò fuori a sorpresa un cornetto propiziatorio. Dalle sue Tribune – che ebbero cifre record di telespettatori, fino a 15 milioni a puntata – passarono tutti i politici più importanti di quei decenni “caldi”, ma quanto contassero lo dimostra una data più di ogni altra: il 15 dicembre 1981. Il segretario del Pci Enrico Berlinguer scelse il programma della Rai per dire agli italiani che «la capacità propulsiva» della Rivoluzione d’ottobre era «venuta esaurendosi», annunciando così in diretta lo storico strappo con l'Unione sovietica di Leonid Breznev. A questa lunga e fortunata carriera – grazie alla quale dal 1996 fino alla morte ricoprì incarichi pubblici di consulenza e vigilanza sui servizi radiotelevisivi – Jacobelli affiancò una vastissima produzione di saggi, in molti dei quali dimostrò grande lungimiranza di analisi. In “Cento no alla tv” (Laterza, 1996) scriveva: «Non è tanto l’uso che si fa della tv a renderla pericolosa, quanto la sua stessa natura di mezzo troppo potente, rinchiuso tra le quattro mura domestiche. Bisogna quindi usarla con equilibrio e parsimonia». —

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