La tragedia
Riciclaggio, ristoratore pratese indagato insieme ai suoi familiari
La Procura contesta false fatture per un totale di quasi 18 milioni di euro: l’inchiesta è nata da una maxi-frode da 131 milioni scoperta dalla Finanza nel porto di Ancona
PRATO. I proventi di una maxi-evasione fiscale realizzata nel porto di Ancona sono stati riciclati in un ristorante di Prato. Questa l’accusa che ha portato sul banco degli imputati sette persone, tra cui l’imprenditore a cui faceva capo la gestione del ristorante Zio Peperone di piazza Mercatale.
Sui sette (Maria Antonietta Ligorio, Maria Rosaria Cocchiaro, Marco Prudente, Angela Prudente, Anna Russo, Emanuele Pagano ed Elvira Terebinto) pende la richiesta di rinvio a giudizio firmata nel luglio 2022 dal sostituto procuratore Lorenzo Boscagli, il procedimento è andato avanti molto lentamente e il giudice dell’udienza preliminare deciderà a luglio.
La tesi della Procura è che Marco Prudente e Maria Rosaria Cocchiaro, dopo aver emesso fatture per operazioni inesistenti (tramite la ditta individuale di Cocchiaro) per la bellezza di quasi 18 milioni di euro a favore delle società Italia Shipyard srl, Italia Lavoro srl, Bi Effegi srl, Rmr srl e Soluzione Lavoro srl, abbiano impiegato il compenso per queste fatture, pari a un milione e 213mila euro, nell’attività del ristorante Zio Peperone e in altre società da cui hanno acquistato beni e servizi, in modo da ostacolare la provenienza illecita del denaro. L’accusa è dunque di riciclaggio, per la quale il Codice penale prevede la reclusione da 4 a 12 anni.
Agli altri cinque imputati, tutti familiari dei primi due ad eccezione di Anna Russo, legata a Marco Prudente da interessi d’affari, viene contestata l’accusa di ricettazione per aver utilizzato somme di denaro provenienti dalla stessa “provvista”, sempre allo scopo di renderne più difficile la provenienza e dunque in sostanza per “ripulirle”.
All’origine del procedimento penale c’è una maxi frode fiscale scoperta nel febbraio 2021 nel porto di Ancona. L’operazione Shipyard della guardia di finanza dorica portò alla luce una fitta rete di evasione e irregolarità nella cantieristica navale con trenta persone denunciate per frode fiscale, riciclaggio e auto-riciclaggio e il coinvolgimento di una fitta rete di imprese dislocate tra Marche, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lombardia e Toscana.
Le investigazioni delle Fiamme gialle permisero di individuare 153 lavoratori irregolari per i quali erano stati omessi il versamento dei contributi e delle ritenute Irpef e 131 milioni di euro di fatture false con la conseguente evasione dell’Iva per 28 milioni di euro, con 66 milioni di euro di base imponibile segnalata per il recupero a tassazione. L’operazione “cantiere navale” era stata avviata in seguito a un’analisi sulle numerose imprese operanti nell’ambito dell’area dove si faceva ricorso a ditte in appalto.
I successivi riscontri hanno consentito di individuare un sistema illecito molto redditizio e ben architettato a tavolino. Quest’ultimo era incentrato su un “consorzio” che aveva sede nella provincia di Ancona ed era in grado di presentare normalmente l’offerta più vantaggiosa, in seguito alle richieste di preventivo che la Fincantieri, estranea alle indagini, inviava a diverse imprese.
Sette delle aziende consorziate che si trovavano in Abruzzo, Marche, Campania e Toscana, sono risultate, però, essere state amministrate, sulla base degli indizi emersi, da prestanome e prive di una struttura operativa, organizzativa e finanziaria, dunque mere “cartiere”, società create al solo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti che poi servono a un altro soggetto per lucrare sui crediti Iva. Queste società hanno emesso fatture per operazioni inesistenti, per importi pari a 131 milioni di euro nel corso di quattro anni, che sono state poi utilizzate da altre dodici società consorziate, che sono riuscite a maturare crediti Iva inesistenti, poi utilizzati per le compensazioni con altre imposte. Una parte del “prezzo” delle fatture per operazioni inesistenti sarebbe dunque finito a Prato, a beneficio dei sette imputati (difesi dagli avvocati Parini, Stefanelli, Nigro, Febbo, Malerba e Assirelli) che ora sono coinvolti nel procedimento penale.
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