Ciclista morì in volata, il padre chiede giustizia: «Mio figlio ha diritto a un altro processo»
Il padre di Giovanni Iannelli si appella alla giustizia sportiva
PRATO. C’è una questione dolorosa sulla quale l’avvocato Carlo Iannelli combatte da tempo. Si tratta del riconoscimento delle colpe della società sportiva Bassa Valle Scrivia e della Federciclismo nella morte del figlio Giovanni, ciclista dilettante caduto nella volata finale di una corsa a Molino dei Torti, in provincia di Alessandria, il 5 ottobre del 2019 durante l’87ª edizione del “Circuito molinese”.
La tragica scomparsa
Giovanni Iannelli correva con la squadra del team Hato Green Tea Beer e nella volata finale, a 144 metri dal traguardo, il corridore impattò contro lo spigolo del muro di un’abitazione privata dove non era stata messa nessuna transenna e nessun avviso di pericolo. Il presidente di giuria, nel comunicato a fine gara, scrisse che non c’era “nulla da segnalare”. Il corridore morì dopo 36 ore di agonia all’ospedale di Alessandria, il 7 ottobre di cinque anni fa.
Il Tribunale civile di Alessandria nello scorso agosto ha accertato la colpevolezza della società sportiva “nella determinazione dell’evento lesivo che cagionò la morte di Giovanni Iannelli”, come è stato scritto nelle motivazioni della sentenza. E la sentenza del giudice civile adesso è passata in giudicato, visto che né gli enti federali della categoria sportiva cui apparteneva il giovane ciclista né la società sportiva Bassa Valle Scrivia hanno fatto ricorso in appello.
Ma la giustizia sportiva non ha preso atto di questo pronunciamento. Quello che adesso l’avvocato Iannelli, padre di Giovanni, vuole raggiungere è che sia il Coni sia la Federazione ciclistica italiana riesaminino e giudichino da angolatura diversa (e accertata) le responsabilità sportive di chi organizzò e di chi autorizzò l’87ª edizione del “Circuito molinese”. Perché, di fatto, questo manca all’appello. Carlo Iannelli, nella sua lunga battaglia per il riconoscimento delle colpe sulla morte del figlio, ha più volte scritto anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
L’appello del padre
Adesso rinnova l’appello scrivendo che “mio figlio Giovanni è morto durante una prevedibile volata finale di gruppo a ranghi compatti, su di un rettilineo mortale privo di qualsiasi protezione. Il programma di gara di questa corsa ciclistica era stato approvato dal comitato regionale Piemonte della Federciclismo, dalla sera alla mattina, senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico; documenti che poi gli organizzatori falsamente realizzano e che vengono prodotti tramite il difensore avvocato Gaia Campus del Foro di Roma (nonché componente della corte sportiva di appello della Federciclismo) nel giudizio sportivo svoltosi avanti alla corte sportiva di appello della Federciclismo. La corsa dove è morto Giovanni non doveva neppure partire. Un giudice civile del Tribunale di Alessandria, nella sua sentenza divenuta definitiva, scrive che la Federciclismo ha ammazzato Giovanni. Tuttavia la Procura della repubblica di Alessandria, capeggiata dal dottor Enrico Cieri, nonostante le evidenze – conclude Iannelli – si ostina a non voler celebrare un giusto processo per la morte di mio figlio Giovanni, dove sono coinvolti personaggi eccellenti, senza accertare la verità».