Disastro di Calenzano, cosa è successo prima dell’esplosione? Gli inquirenti: «Condotta scellerata»
Nel decreto di perquisizione firmato dal procuratore Tescaroli si ipotizza che l’esplosione sia stata provocata dal mancato rispetto delle norme durante i lavori di manutenzione
PRATO. Un «condotta scellerata» durante i lavori di manutenzione alla pensilina. Ci sarebbe questo, secondo il procuratore Luca Tescaroli e il sostituto Massimo Petrocchi, dietro all’incidente che lunedì 9 dicembre ha provocato cinque morti a causa di un’esplosione nel deposito Eni di Calenzano. La ricostruzione di quello che potrebbe essere accaduto è contenuta in un decreto di perquisizione firmato dai due magistrati per consentire ai carabinieri del Nucleo investigativo di Firenze di acquisire documentazione al deposito Eni e nella sede della Sergen di Grumento Nova, in provincia di Potenza, l’azienda che stava effettuando la manutenzione e i cui due dipendenti, Gerardo Pepe e Franco Cirelli, sono morti a causa dello scoppio insieme a Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso e Davide Baronti, gli autisti di altrettante autocisterne.
Secondo questa ricostruzione, al momento dell’esplosione c’erano quattro autocisterne in coda per fare rifornimento. Davanti alla pensilina numero 6, quella da cui è partito lo scoppio, c’era un autista che si è salvato. E’ stato lui a premere il pulsante di allarme dopo aver visto una perdita di carburante che stava formando una nube di vapore infiammabile, ma gli altri non hanno avuto il tempo di allontanarsi.
«Una condotta scellerata»
I due tecnici della Sergen stavano lavorando tra la pensilina 5 e la pensilina 6. «La ditta – hanno scritto i magistrati nel decreto di perquisizione – stava eseguendo dei lavori di manutenzione nei pressi dell’area destinata al carico del carburante: in particolare avrebbero dovuto rimuovere alcune valvole e tronchetti per mettere in sicurezza una linea benzina dismessa da anni». Secondo i magistrati sarebbe avvenuta una fuoriuscita di carburante nella parte anteriore della pensilina di carico e si ipotizza che «questa sia stata in qualche modo dovuta alla chiara inosservanza delle rigide procedure previste». «Le conseguenze di tale scellerata condotta non potevano non essere note o valutate dal personale che operava in loco» aggiungono i due magistrati.
Il rischio del carcere
Al momento si procede per omicidio colposo, disastro e rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Qui la parola chiave è “dolosa”, perché con una contestazione di questo tipo qualcuno rischia di finire in carcere, com’era accaduto dopo l’altra strage sul lavoro, quella accaduta il 1° dicembre 2013 alla confezione Teresa Moda di Prato, dove a causa di un incendio persero la vita sette operai cinesi e le due confezioniste, ora riparate in Cina, furono arrestate.