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Le banche stringono i cordoni e aumenta il rischio di usura. I numeri del distretto pratese

di Alessandro Formichella

	Alcuni cittadini in fila in una banca (foto di archivio)
Alcuni cittadini in fila in una banca (foto di archivio)

Sono oltre 700 le aziende in difficoltà con il rientro dai prestiti: i dati emergono da un rapporto Cgia di Mestre

18 novembre 2024
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PRATO. Aumenta il numero di aziende del distretto pratese a rischio usura, perché faticano a rispettare gli impegni con le banche. Secondo un recentissimo rapporto della Cgia di Mestre, sono 711 le aziende di Prato e provincia che nel primo semestre del 2024 si sono trovate in seria difficoltà con il pagamento dei crediti bancari. Nel 2023 erano state 695; un incremento di 16 imprese pari ad un aumento dello 0,6 % di tutte le aziende in difficoltà in Italia per il pagamento di crediti e finanziamenti.

I numeri in provincia

Per quanto riguarda Prato e provincia, le 711 aziende con problemi di solvibilità dei crediti potrebbero rientrare nell’esame, messo sotto la lente di ingrandimento dalla Cgia della città veneta, a rischio di usura. Il report dell’associazione veneziana riguarda, infatti, per prima cosa la vulnerabilità delle aziende in crisi al prestito di denaro fuori dalle condizioni regolamentate dagli istituti bancari. E questo, perché «se il Mezzogiorno è l’area geografica d’Italia più a rischio usura, i proventi di queste attività illegali vengono sempre più reinvestiti al Nord – argomenta la Cgia – Negli ultimi tempi, infatti, le indagini effettuate dalla direzione Investigativa antimafia dimostrano come il denaro contante proveniente dalle attività criminali primarie, come l’usura, venga reimpiegato con sempre maggiore frequenza in determinate aree dell’Italia settentrionale, ossia Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana».

L’analisi e i dati

Il dato, quindi, sulle difficoltà finanziarie delle aziende accende la spia sull’eventualità che alcune di queste possano fare ricorso, per sopravvivere, al meccanismo dei prestiti usurari. Sempre secondo la Cgia di Mestre, il vero problema che può spingere un’azienda a cercare crediti fuori dai canali legali sta nel fatto che «ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica del Covid, dal 2011 ad oggi sono crollati i prestiti bancari alle imprese italiane. A fronte dei 1.017 miliardi di euro erogati alla fine del 2011, siamo scesi a 711,6 miliardi del febbraio 2020 (inizio pandemia). Dopo l’incremento avvenuto durante il periodo Covid che ad agosto 2022 aveva innalzato lo stock erogato a 757 6 miliardi di euro, è ripresa la riduzione e a settembre di quest’anno si è attestata a 667 miliardi. In 12 anni, rispetto al picco massimo erogato nel 2011, le imprese hanno perso 350 miliardi di prestiti bancari, pari al -52, 4%.

Gli effetti della crisi del debito sovrano (2012-2013), le restrizioni normative imposte dalla Bce (Banca centrale europea) alle banche, hanno portato a una caduta verticale del credito. «Non è da escludere che la chiusura dei rubinetti del credito praticata dal sistema bancario abbia contribuito a “spingere” involontariamente molti lavoratori autonomi e altrettanti piccoli imprenditori a corto di liquidità verso le organizzazioni malavitose che, mai come nei momenti difficili, hanno la necessità di reinvestire nell’economia legale i denari provenienti dalle attività criminali» scrivono i ricercatori dell’associazione delle piccole e medie imprese di Mestre. E si tratta di un campanello d’allarme ulteriore che si aggiunge all’attuale crisi produttiva.

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