San Michele in piazza, quattro sfilate che parlano di guerra e pace
A Carmignano la corsa dei ciuchi se l’aggiudica la contrada celeste
CARMIGNANO. Buona la seconda e la terza. Nel fine settimana (28 e 29 settembre) davvero in tanti si sono arrampicati su per le colline di Carmignano per assistere prima alla sfida dei quattro rioni del San Michele, a colpi di teatro in strada, e poi alla prima delle tre corse del palio dei ciuchi, vinta dal fantino dei celesti - detentori del palio – che ha infilato all’intero l’ultima curva in una testa a testa con il verde e più indietro giallo e bianco. Nonostante qualche lampo ad illuminare minaccioso l’orizzonte, sabato sera piazza e tribune erano strapiene e non da meno la domenica pomeriggio, con i due maxi schermi chiamati in soccorso chi non aveva una posizione ottimale. Così il successo di pubblico, trascinato dallo speaker storico della festa, Stefano Fatighenti, ma soprattutto il grande spettacolo allestito in piazza hanno sopito le polemiche di venerdì, quando la festa è stata annullata perché mancava il via libera dei vigili del fuoco. Lunedì 30 settembre a partire dalle 21 si sfila e si corre per la terza volta: saranno validi i biglietti di ingresso e delle tribune di venerdì. Intanto si aprono le scommesse su quale contrada primeggerà nella doppia sfida: un pronostico forse più difficile di altre edizioni, perché davvero di grande impatto ed applaudite sono state tutte le rappresentazioni. Un bel grattacapo per i quindici giurati, cinque a sera, persone del mestiere e mai di Carmignano, che una classifica dovranno comunque elaborarla. La magia del San Michele si conferma tale, capace di incantare chi viene per la prima volta e chi vi torna: belle messe in scena, carri maestosi e moderni, colpi di teatro e grande cura nei costumi che si fanno ad un tratto scenografia. Ogni rione ha mezz’ora di tempo: una grande rappresentazione corale con centinaia di figuranti, grandi e piccini, gente del mestiere ma anche attori dilettanti e chi nella vita fa tutt’altro. Colpisce la tensione – mai un’espressione fuori posto – la grande cura nelle musiche e nella colonna sonora, che diventano voce narrante, i balletti e le sceneggiature. Quest’anno però c’era un’alchimia in più. Le quattro sfilate sembravano quasi dialogare tra loro: tutte impegnate – coincidenza più unica che rara - a raccontare di fatto lo stesso tema, l’assurdità della guerra e la necessità di pace, i sogni dei bambini da difendere, il sacrificio di chi si immola per la libertà oppure chi, dalla guerra, torna cambiato. Il tutto alla maniera del San Michele, pescando nella memoria e negli archivi storici e raccontando piccole storie capaci di diventare grandi e universali. Così il rione bianco, guidato dal regista Lorenzo Tarocchi, racconta di Fortunato Picchi, comeanese emigrato a Londra e volontario nell’esercito inglese, catturato in Italia durante la guerra e fucilato dai fascisti come traditore. Il rione celeste, vittorioso l’anno scorso, porta in scena con la regista Carolina Fanelli le scorie e i tormenti che le guerre lasciano dietro di sé, i sonni dei bambini interrotti dalle sirene e dai boati nel buio, le storie di chi ha scelto la Resistenza; ma la sfilata è soprattutto un inno alla vita e a quel milione di ragioni più grandi e forti della morte o di una guerra. La contrada dei verdi, prima volta del regista Andrea Bruni, un testo leggero con punte di comicità, parla di Gino Bartali, il Ginettaccio nazionale campione delle due ruote plurivittorioso ai giri d’Italia e Francia ma anche giusto tra le Nazioni per il contributo al salvataggio di centinaia e centinaia di ebrei, tra il 1943 e 1944, grazie ai documenti contraffatti, nascosti nella canna della sua bicicletta, portati da un capo all’altro della Toscana su richiesta del cardinale Elia Dalla Costa. Infine il rione giallo: il regista Rosario Campisi, anche lui al debutto, ripercorre con un testo fresco e carri e trovate sceniche non banali, la vita di Spartaco Nunziati, giovane dai grandi sogni ed ambizioni che nel 1934 si arruola nella Marina militare sognando un futuro di gloria e libertà ma che, dopo la morte dei compagni e sei anni di prigionia in India, arriverà alla conclusione che la guerra non si può umanizzare. Un messaggio dal passato valido anche per il presente.