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Via Pistoiese, i cinesi cedono i primi negozi

Alessandro Formichella PRATO.
Via Pistoiese, i cinesi cedono i primi negozi

È la conseguenza della pandemia, ma secondo il consigliere Wong non è l’inizio del ritorno verso la madrepatria

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“A. A. A. cedesi attività”: in via Pistoiese da giorni alcune attività commerciali cinesi hanno affisso questo cartello alla propria entrata. Non si tratta di una fuga dei cinesi da Prato, a sentire chi si intende di flussi migratori. Ma gli orientali cominciano a domandarsi se sia ancora conveniente fare affari nel terziario a Prato.

«All’inizio di via Pistoiese ci sono delle attività commerciali cinesi in cessione, con tanto di cartelli affissi – conferma il consigliere comunale Marco Wong – Non direi però che ora come ora siamo di fronte ad un reflusso, ma c’è chi con la crisi della pandemia non ha più lavoro e sta cedendo la propria attività. C’è anche chi è tornato in Cina, è vero, cercando di aprire un’altra attività. Lì le condizioni dell’epidemia e del contagio sono migliori che in Italia. Ma è anche molto probabile che nei prossimi mesi chi è partito torni a Prato. Flussi e riflussi. Lo scrittore Edoardo Nesi, premio Strega 2011 che ha da poco firmato la sua ultima uscita con il libro “Economia sentimentale”, è convinto che quello dei cinesi sia uno dei sistemi produttivi più in difficoltà. Ma c’è anche chi giura che il fenomeno migratorio, sebbene possa essere presente, assume caratteri diversi e per adesso non ha certo la dimensione di un abbandono dei cinesi da Prato.

«Il fenomeno migratorio cinese si è stabilizzato circa dieci anni fa, dopo una continua crescita dalla metà degli anni novanta del secolo scorso – dicono in Comune – Da allora il numero delle presenze è più o meno costante, con migrazioni interne e qualche rientro in Cina».

Insomma, parlare adesso di spopolamento di Chinatown sembra cosa irreale, anche se non impossibile. «Nessuna emigrazione – dice Celso Bargellini, pratese coniugato ormai da molti anni con una signora cinese e presidente del “Centro contro il razzismo” – È irreale parlare di flussi di cinesi che tornano in Cina. Può darsi che qualcuno lo abbia già fatto e che qualcun altro lo pensi, è nelle cose e forse il tutto è accelerato dalla pandemia, ma quegli imprenditori cinesi che sono ormai strutturati da decenni qui difficilmente lascerebbero Prato». Oggi a Prato siamo davanti alla terza generazione dei cittadini cinesi. Ci sono i nipoti di coloro che per primi arrivarono qualche decennio fa a lavorare o a fare impresa qui. «Semmai da molti mesi siamo davanti ad un altro fenomeno – dice Bargellini – che è in sostanza quello di mandare i bambini e gli adolescenti un anno sabbatico in Cina, per imparare meglio il cinese, una lingua che si impara solo parlandola. Qui a Prato, in casa molti parlano il dialetto dello Zhejang, e allora è uso mandare i ragazzi almeno un anno in Cina per migliorare la lingua». Bargellini aggiunge: «D’altronde un anno questi ragazzi lo avrebbero perso comunque nella scuola italiana. Così con la situazione della pandemia e con il fatto che adesso in Cina ci siano condizioni di maggiore sicurezza e minor contagio, in molti hanno mandato i propri figli nelle scuole delle maggiori città della Repubblica popolare. Ma poi anche loro torneranno qui». —



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