Tennis
Ritrova l’udito grazie a un impianto: «Nella vita mai arrendersi». La patologia, l’apparecchio e la rinascita
Pontedera, Fausto Bosco celebra 7 anni dall’ultimo intervento: «Volevo sentire i miei figli»
PONTEDERA. Per anni ha vissuto in un mondo di profondo silenzio. Poi la diagnosi arrivata tardi e due interventi non andati bene. Alla fine una nuova scommessa, tanto coraggio e la speranza di uscire da quel buio che lo aveva costretto a lasciare l’esperienza politica e sindacale e che soprattutto non gli permetteva di sentire la voce di suo figlio, all’epoca piccolissimo. Oggi però Fausto Bosco, dipendente di Acque Spa, ex segretario Pd di Cenaia e dirigente sindacale festeggia sette anni dall’ultima operazione e da quel novembre 2017 in cui l’impianto, o come lo chiama lui «il pioppino presente in testa» si è acceso e ha rotto la cortina di sordità che ha accompagnato la sua vita per otto lunghissimi anni.
«Otto anni – spiega Bosco – di voci afone, di melodie prive di suono, di rumori ovattati, di interminabile solitudine, di innumerevoli sforzi per cercare di comprendere la realtà intorno a me senza poterne percepire il suono».
Bosco soffriva di ipoacusia bilaterale ereditaria, di cui ha incominciato a rendersi conto appena ventenne. Classe 1979, originario di Cenaia, è diventato totalmente sordo nel 2008. «Ma la mattina di quel 19 novembre – riavvolge il filo della memoria – grazie a quel piccolo e buffo marchingegno che mi hanno innestato in testa, ho riscoperto nuovamente la piacevolezza del “sentire”. Mi sento fortunato, non lo nascondo».
Anzi, prova a raccontarlo «perché non sempre le cose vanno male e a volte bisogna rischiare. Siamo frutto delle scelte che compiamo e se la mia storia può essere utile o da stimolo a qualcuno che sta passando le stesse difficoltà, ben venga la mia testimonianza. La sordità porta spesso all’isolamento sociale, alla depressione e ancora c’è chi la tratta o la sente come un tabù che invece va sfatato».
Bosco era già stato sottoposto a due delicati interventi chirurgici risultati del tutto inefficaci, quando gli è stato proposto un ulteriore tentativo: «Avevo il morale sotto i piedi ma ho deciso comunque di tentare la sorte, anche perché nella peggiore delle ipotesi avrei continuato a vivere la vita nell’assordante silenzio al quale mi ero abituato. In famiglia nessuno era d’accordo con la mia scelta, dopo le infelici esperienze precedenti. Comprendevo i loro timori e le loro perplessità, ma il giorno in cui il chirurgo mi aveva presentato l’impianto avevo già deciso. Volevo tornare a sentire, volevo ascoltare la voce del mio bambino che in quel periodo aveva tre anni».
Adesso ha due figli e ha ripreso in mano la sua vita. Ma la rinascita è passata attraverso otto ore in sala operatoria per togliere l’apparecchio precedente e installare il nuovo e mesi di logopedia per imparare di nuovo a decodificare gli input che martellavano nel cervello e recuperare l’udito. «Da allora tutto è cambiato, per sempre. Quella nebbia fatta di silenzi che mi avvolgeva si è pian piano diradata, il sole è tornato a splendere, colorando ogni cosa. La vita spesso toglie, altre volte restituisce ma mai lo fa in maniera spontanea. Occorre lottare, non arrendersi, procedere magari anche con pizzico di follia verso quegli obiettivi che ci poniamo, con la consapevolezza che, comunque vada, saremo noi a determinare quel tortuoso viaggio».