Il Tirreno

Pistoia

La lotta ai nazifascisti

Mario Innocenti, l’ultimo partigiano a 15 anni col fucile in nome della libertà

Mario Innocenti, l’ultimo partigiano a 15 anni col fucile in nome della libertà

Nel 1953 dette vita alla Cna pistoiese

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PISTOIA. A lui non interessa non interessa sapere se oggi, a 94 anni, sia l’ultimo partigiano pistoiese vivente. Se l’Anpi si sia sbagliata o meno. «Non mi affascinano gare del genere – afferma con un sorriso contagioso – Per me l’importante è aver fatto sempre il mio dovere, prima come partigiano e, in seguito, come imprenditore artigiano». Sì, perché Mario Innocenti, in definitiva, di guerre ne ha vinte due. La prima quando, nel maggio 1944, a 15 anni da poco compiuti, imbracciò il moschetto unendosi a una formazione partigiana che operava sulle montagne fra le provincie di Massa, Parma e La Spezia. La seconda quando, dal 1946 in poi, seppe reinventarsi come uno dei più abili falegnami di Pistoia.

L’aver fatto la Resistenza in un teatro di guerra lontano da Pistoia, probabilmente, ha in parte offuscato la conoscenza del suo operato. Nel Dopoguerra si iscrisse all’Associazione nazionale partigiani d’Italia, ma fu necessario chiarire che lui non si era iscritto in quanto semplice simpatizzante bensì in qualità di ex combattente. Da anni, comunque, partecipa alla vita dell’Anpi, che peraltro lo ha supportato nell’edizione del suo libro intitolato “Nome di battaglia Demurdas: le memorie di un partigiano quindicenne”.

Rientrato a Pistoia dopo la Liberazione, Mario scelse di mettersi in gioco come imprenditore e fu fra i primi artigiani pistoiesi a fissare la sede della propria attività nell’allora neonata zona industriale di Sant’Agostino. E correva l’anno 1953 quando dette vita alla Cna pistoiese. La sua falegnameria è tuttora presente in città, in via Landucci, ed è portata avanti dal figlio Luca.

Per Mario, tuttavia, l’ingresso nel mondo dei grandi avvenne quando, a soli 15 anni, lasciò il borgo nativo di San Michele a Groppoli per andare a cercare fortuna in quel di La Spezia. A trovargli un lavoro fu suo cugino Amerigo Bruschi, che, da qualche mese, era in forza ai regi carabinieri di quella città. Non appena sceso dal treno, Amerigo lo prese sottobraccio e gli disse senza mezzi termini: «Qua le cose stanno precipitando. Tieniti pronto perché fra poco anche noi saliremo in montagna con i partigiani».

Amerigo ben sapeva che con suo cugino poteva parlare con tutta franchezza: l’opzione antifascista si era diffusa a macchia d’olio in tutta la loro famiglia, che era rimasta inorridita di fronte alla follia delle guerre mussoliniane. Mario non rimane perplesso più di tanto. Pochi giorni dopo, i due cugini varcano così il loro Rubicone lasciando La Spezia in mano alla Decima Mas del principe Borghese per raggiungere il paesino di Adelano, nella zona di Pontremoli. Fu qui che avvenne il “battesimo del fuoco” e l’ingresso ufficiale in clandestinità.

Come ricorda Mario con incredibile lucidità: «Mi fu chiesto di scegliermi un nome di battaglia e io scelsi il cognome di un pastore sardo che abitava vicino casa nostra. Mi furono dati un grande cappotto e un moschetto, che fu mio fedele compagno per tutti quei mesi. Il 3 agosto ci fu un primo grande rastrellamento da parte dei nazisti, che portò all’uccisione di molti nostri compagni e anche del prete del paese. Ci spostammo quindi ad Albareto, in provincia di Parma, dove dovemmo confrontarci con gli alpini della Divisione Monterosa e con i bersaglieri della Divisione Italia. Erano reparti della Repubblica sociale ed era terribile dover combattere contro altri italiani. Per fortuna, entrambe le divisioni arretrarono e, anzi, molti dei suoi membri disertarono per unirsi a noi. Ci furono però anche aspri combattimenti. Durante uno di questi, a un giovane milite fascista fu risparmiata la vita a patto che non rivelasse ai tedeschi dove eravamo nascosti. Fu di parola e così oggi io sono ancora qua».

La memoria corre poi rapida a tutti gli episodi che hanno caratterizzato la sue azioni militari e che hanno avuto come sfondo le località di Calice al Cornoviglio, di Zeri, di Pieve di Ziniaco, di Novi Ligure e di Varese Ligure.

Poi, come per incanto la guerra finì. E nella vita di Mario fece quindi “irruzione” Marcella, una bella ragazza di Candeglia, con cui, convolato a nozze, è stato sposato dal 1959 al 2019, anno della sua scomparsa. Dalla loro unione, è nato il figlio Luca, le cui figlie, Martina, Elisa e Francesca fanno di tutto perché il loro nonno usi la sua energia per diffondere la memoria di quei giorni alle giovani generazioni.

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