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La ricca moglie del banchiere che scelse di fare l’egittologa
valentina landucci«Sarei fiera che la mia opera fosse patrocinata dall’Università di Pisa. Il suo nome si impone nel mondo intero e a cui personalmente sono attaccata da un profondo legame...
valentina landucci
«Sarei fiera che la mia opera fosse patrocinata dall’Università di Pisa. Il suo nome si impone nel mondo intero e a cui personalmente sono attaccata da un profondo legame sentimentale». Scrive così Michela Schiff Giorgini in una lettera del 6 agosto del 1957 al Magnifico Rettore dell’Università di Pisa, Enrico Avanzi. È il primo contatto ufficiale tra l’egittologa italiana e l’Ateneo pisano dal quale prenderà il via una collaborazione proficua e una avventura umana e scientifica appassionante che oggi si può leggere proprio grazie all’Ateno. Sono infatti stati pubblicati sulle pagine web dell’archivio fotografico dell’Università i carteggi e i documenti relativi alle campagne di scavo condotte tra il 1957 e il 1976 da Michela Schiff Giorgini, con il patrocinio dell’Ateneo pisano, a Soleb e Sedeinga in Sudan.
Di origini padovane Michela nasce nel 1923 in una famiglia, i Beomonte, della piccola borghesia. Il padre era ufficiale dei carabinieri. Lei e la sorella ricevono una istruzione molto rigida. Giovane bellissima dopo il liceo artistico decide – come aveva già fatto la sorella Maria Denis – di intraprendere la carriera di attrice. Debutta con Roberto Rossellini nel film “Un pilota ritorna” e poi con Mario Mattoli accanto ad Alberto Sordi è protagonista in “I tre aquilotti”. Ma non è il cinema il destino di Michela che nel 1946 sposa il banchiere Giorgio Schiff Giorgini, figlio di Roberto Schiff (professore di chimica proprio a Pisa).
La giovane e bella Michela davanti a sé ha la possibilità di trascorrere un’esistenza negli agi della villa di famiglia a Montignoso, nei salotti dell’Italia ricca nonostante il dopoguerra. Ma, confermandosi personalità travolgente e appassionata, coglie in maniera assai diversa le possibilità che la vita le mette di fronte. Comincia a coltivare la sua grande passione per l’archeologia e in particolare l’egittologia. E nel 1957 si ritrova a capo di una spedizione di ricerca – finanziata dal marito – in Sudan, a nord della terza cataratta del Nilo, sul lato occidentale, con il patrocinio dell’Università di Pisa.
Il sito archeologico di Soleb era già noto dalla metà dell’Ottocento grazie alle scoperte di Karl Richard Lepsius. Lungo il Nilo si trovavano le rovine di un tempio di arenaria costruito, come le ricerche hanno poi confermato, dal diciottesimo sovrano della dinastia, Amenhotep III. «Illustre Rettore – scrive Michela Schiff Giorgini il 14 novembre del 1957 – avrei voluto scriverle due righe appena arrivata a Khartoum, ma purtroppo non ho avuto un attimo di tempo {...} Siamo qui da otto giorni in mezzo a mille difficoltà di ogni genere». E ancora: «Il Tempio si presenta come una rovina... romantica, completamente devastata dai venti e dall’acqua fino alle sue basi più profonde. I venti hanno naturalmente quasi cancellato alcune iscrizioni, il che rende il lavoro dell’epigrafista estremamente duro e lungo. Ma tutto ciò era da prevedersi e non intacca il nostro morale che rimane ottimo».
Parole che mostrano una donna coraggiosa, autorevole e appassionata. «Una personalità originale e multiforme» come la descrive l’Ateneo.
Il lavoro nella Nubia sudanese è faticoso ma anche pieno di soddisfazioni. L’egittologa, a capo di una squadra di 200 operai – tutte persone del posto, senza precedenti esperienze, che lei stessa di prefigge di preparare e formare alla missione di scavo – lavora accanto a studiosi di grande prestigio: Jozef Janssen, Jean Leclant e Clement Robichon. E il 1957 è solo l’inizio di un’avventura umana e scientifica che terrà impegnata Michela Schiff Giorgini in Sudan (a Soleb e poi anche a Sedeinga) per circa 20 anni. Al suo lavoro e a quello dei suoi colleghi si devono scoperte importanti per le scienze egittologiche che daranno luogo a una serie pubblicazioni in riviste specializzate.
«Michela Schiff Giorgini ha donato all’Ateneo la ricca collezione di reperti che il governo sudanese concesse alla spedizione e che sono oggi conservati nelle collezioni egittologiche in una raccolta intitolata alla stessa archeologa – spiega l’Ateneo pisano – La copiosa corrispondenza e i rapporti periodici sui lavori di scavo descrivono in dettaglio l’attività svolta negli anni, fino ad arrivare alla lettera del novembre 1976 al rettore Ranieri Favilli in cui si annuncia “con profonda tristezza” la fine della missione per il marzo dell’anno dopo e l’intenzione dell’autrice di abbandonare gli scavi per dedicarsi interamente alla scrittura dei volumi su Soleb».
Michela Schiff Giorgini non era laureata. E anche per questo il suo ruolo nella comunità accademica, non solo pisana, fu dirompente. Eppure il suo lavoro le valse, nel 1971, la laurea honoris causa in Lettere e filosofia a Pisa e nel 1976 il diploma di “Benemerito della scuola e della cultura”. —