Figli felici? Il ruolo dei genitori tra dialogo, tecnologia e sviluppo emotivo: i consigli della psicologa
L’analisi di Valentina Bezzi, mamma di due bambini e psicologa clinica: «Il virtuale può contribuire a sviluppare ansia, depressione e altri disturbi»
VENTURINA. I nostri figli sono felici? Affrontano la vita apprezzandone l’importanza? Si sentono amati? Secondo i sondaggi di chi si occupa del loro benessere, noi adulti non li capiamo abbastanza, diamo loro tante cose, anche troppe, senza pensare che quello di cui hanno bisogno è il nostro tempo. Per i bambini, ma soprattutto per gli adolescenti, infatti, la cosa più importante è il dialogo con chi sanno di potersi fidare, cioè i genitori, che spesso, presi dai loro impegni, di tempo ne hanno poco e passano perciò la palla ai social, pensando che i babysitter tecnologici possano sostituire quelli in carne e ossa. «Cosa non vera», spiega la dottoressa Valentina Bezzi, psicologa clinica e consulente in sessuologia (mamma di un maschio di 7 anni e una femmina di 12), che vive e lavora a Venturina Terme, dove fra i suoi pazienti, ci sono anche giovanissimi con problemi psicologici che, se non capiti, e seguiti attentamente, possono con il tempo cercare rifugio altrove, con conseguenze spesso rischiose. «L’uso della tecnologia e dei social – spiega Bezzi – gioca un ruolo importante, ma va considerato come uno dei tanti fattori. Mentre l’uso intensivo di dispositivi digitali tende a sostituire momenti di comunicazione diretta e condivisione emotiva con la famiglia. Una mancanza di interazione che può privare i giovani del supporto per un sano sviluppo emotivo».
La diminuzione del dialogo con i genitori, unita all’immersione nel mondo virtuale, può accentuare sentimenti di solitudine?
«Sì, e questa condizione può contribuire a sviluppare ansia, depressione e altri disturbi dell’umore. I problemi psicologici dei giovani raramente hanno una causa univoca. E la dipendenza dalla tecnologia è uno dei contributi, insieme alle dinamiche familiari, pressioni scolastiche, contesto sociale e predisposizioni individuali».
Sembra che nei ragazzini e soprattutto nelle ragazzine ci sia una certa precocità che non corrisponde allo sviluppo fisico.
«Sicuramente stiamo assistendo a diverse forme di precocità nei bambini e negli adolescenti, legate a una esposizione sempre più precoce ai social media e a modelli culturali che accelerano lo sviluppo mentale, ma non quello emotivo e fisico. I bambini che hanno accesso a smartphone e tablet già in età prescolare, sono esposti a contenuti inadatti (violenza, sessualità, ideali di perfezione irrealistici) che influiscono sulla loro percezione della realtà. E i ragazzi mostrano comportamenti e atteggiamenti più adulti rispetto alla loro età, ma spesso mancano delle risorse emotive per gestire le situazioni complesse...Comprendono e usano linguaggi e argomenti da adulti, ma non hanno il senso critico e l’esperienza per interpretarli correttamente. Stessa cosa per l’esposizione a contenuti sessualizzati, che li spinge a sperimentare precocemente senza una piena consapevolezza emotiva e psicologica».
L’ipersessualizzazione dei bambini, in particolare delle bambine, è una questione allarmante?
«Per tutti noi, psicologi ed educatori, decisamente sì».
In Australia, Francia e Danimarca è vietato dare ai ragazzi fino a 16 anni strumenti che li mettano a contatto con i social. Da noi invece alcuni insegnanti li invitano a portare i cellulari e i tablet a scuola, per facilitarli nello svolgimento dei compiti. Cosa ne pensa?
«La comunità scientifica riconosce sia i rischi che le opportunità legate a certi strumenti... L’uso precoce e incontrollato dei social può avere effetti negativi sullo sviluppo soprattutto dei giovanissimi, favorendo confronti dannosi con gli altri e generando ansia e insicurezza. Inoltre, il tempo passato online può ridurre le interazioni faccia a faccia, fondamentali per lo sviluppo delle competenze relazionali. Per non parlare del cyberbullismo e dei rischi esponendosi a contenuti inappropriati».
La tecnologia però è anche utile.
«Certo! Tablet e smartphone, per esempio, possono rendere l’apprendimento più coinvolgente e accessibile, anche in casi di disturbi specifici dell’apprendimento. L’importante è che se ne faccia un uso consapevole».
Spesso però sono i genitori stessi i primi a essere iperconnessi.
«E i figli li imitano, considerando il loro comportamento normale. In definitiva, mamma e papà hanno il tempo per ascoltarli, ma spesso non lo sfruttano nel modo giusto. Serve più consapevolezza per evitare che la tecnologia diventi un ostacolo, anziché un aiuto».
E la scuola che ruolo dovrebbe avere?
«Se i genitori sono consapevoli dell’importanza di un uso equilibrato dei social e partecipano al percorso educativo, il lavoro della scuola si integra con quello della famiglia».
Quali sono i pericoli, anche nelle piccole comunità, dell’assenza psicologica della famiglia, nel tempo che resta fra l’uscita da scuola e l’ora di andare a letto?
«Si possono avere conseguenze significative sullo sviluppo emotivo, poiché anche se il contesto è più ristretto e apparentemente protetto rispetto alle grandi città, i pericoli non mancano. E anche se i genitori non sono presenti psicologicamente, pur essendo in casa, i ragazzi possono sentirsi soli e trascurati. Cosa che aumenta il rischio di ansia e depressione e il calo dell’autostima, in quanto i figli potrebbero percepire di non essere così importanti da meritare attenzioni. Questo porta spesso a cercare rifugio nei dispositivi digitali con effetti negativi sull’umore e la percezione di sé. In comunità piccole poi, i gruppi di coetanei hanno un’influenza molto forte. E senza una “guida” costante si può essere più facilmente attratti da comportamenti a rischio, come consumo di alcol o fumo in età precoce, oppure dinamiche di bullismo o emarginazione».
Riempire gli spazi liberi con attività sportive e ludiche aiuta?
«Può essere sia un’opportunità di crescita che una fonte di stress. Se scelte in modo equilibrato e tenendo conto dei bisogni del bambino o dell’adolescente, attività come sport, musica, teatro o volontariato aiutano molto, perché permettono di interagire con coetanei e adulti in un contesto diverso dalla scuola e dalla famiglia. Lo sport, in particolare, aiuta a ridurre lo stress, migliora l’autostima e favorisce la concentrazione. I ragazzi imparano a gestire il tempo, a rispettare impegni e regole, e evitano di dipendere dalla tecnologia».
Quando invece le attività extra scuola rischiano di diventare stressanti?
«Se le giornate sono strutturate senza spazi liberi, ci possono essere effetti negativi, come il sovraccarico mentale e fisico, che può portare a stanchezza cronica e ansia. Sia i bambini che i ragazzi hanno bisogno di momenti di gioco libero e relax per stimolare la creatività e il benessere emotivo».
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