Il Tirreno

Festa per i 70 anni della pasticceria Il Giglio Passione di famiglia che resiste in piazza Gramsci

di Cecilia Cecchi

	Da sinistra Ilaria Pietrini, Martina Volpi, Enrico Tamburini, Gianni Bilisari e Margherita Puliti; poi il babbo e i nonni nel 1954
Da sinistra Ilaria Pietrini, Martina Volpi, Enrico Tamburini, Gianni Bilisari e Margherita Puliti; poi il babbo e i nonni nel 1954

Al bancone Enrico Tamburini, erede di una storia iniziata nel 1954 con il nonno Vincenzo Tutto partì dalle dolcezze di “sor Mario”: «Grazie a babbo Enrico rimasto qui fino a 87 anni»

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PIOMBINO. Il profumo dolce delle brioches appena sfornate a dare il benvenuto in piazza Gramsci, dove la Pasticceria Il Giglio festeggia un traguardo speciale: 70 anni di attività. Dietro il bancone, in un punto vendita rinnovato e più moderno, Enrico Tamburini, erede di una storia iniziata qui nel 1954 con il nonno Vincenzo, conosciuto da tutti come “sor Mario, il fiorentino” «anche se nessuno sa bene il perché, è stato lui a dare vita a tutto questo – racconta Enrico – e ancora oggi siamo qui a portare avanti la nostra tradizione».

Il viaggio della famiglia Tamburini inizia subito dopo la Seconda guerra mondiale. Vincenzo e sua moglie Eleonora, fiorentini, si trasferiscono a Piombino, portando con sé l’arte della pasticceria. «Prima di aprire qui, mio nonno sotto casa in via Cairoli aveva un piccolo laboratorio dove preparava i bomboloni, che poi vendeva per strada – ricorda Enrico – qui pure il forno a fascine per i dolci». Nel 1954, Vincenzo decise di fare il grande decide di aprire Il Giglio, scegliendo come simbolo il fiore che rappresenta la sua Firenze.

«Prima c’era un negozio di scarpe – aggiunge –. Ma mio nonno aveva le idee chiare: voleva portare i sapori della sua terra anche qui». Quando Vincenzo apre la pasticceria, il figlio Enzo, babbo di Enrico, si unisce subito al progetto. «Mio padre era del’24, aveva combattuto durante la guerra ed era stato partigiano. Poi mille mestieri fino alla scelta di dedicarsi alla pasticceria ed ha lavorato qui fino a 87 anni, ogni mattina arrivava prima di me. Per lui il lavoro era una gioia».

Dunque respirare l’aria del laboratorio fin da bambino. «Avevo appena 4 o 5 anni quando già mi aggiravo tra impasti e bilance – spiega –. Le brioches? Si preparavano il pomeriggio spianando la pasta che si lasciava lievitare, non c’erano i moderni metodi di raffreddamento. Sono cresciuto, tra torte, pasticcini e l’insegnamento di mio padre, che a sua volta aveva appreso i segreti dal nonno». Il Giglio ha saputo rinnovarsi senza perdere il legame con la tradizione. «Continuiamo a fare il budino di riso alla fiorentina come una volta, con il riso cotto nel latte, e la sfoglia alla crema pasticcera che mi ha insegnato mio padre – dice ancora Enrico – . Ma abbiamo introdotto dolci “più moderni”, come cheese cake, charlotte o mousse in porzioni singole». Non solo la storia di un’attività commerciale, ma di una passione tramandata di generazione in generazione. Anche se i figli di Enrico pur sempre “artisti” hanno preso strade diverse — uno lavora nel cinema, l’altro costruisce barche a vela — lui continua a sfornare dolci ogni giorno, come suo padre e suo nonno prima di lui. «Fino alla pensione, voglio esserci. È la mia vita» conclude Enrico, con lo stesso sorriso che si vede nelle vecchie foto di famiglia, dove tutto è iniziato.

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