La politica balla sulla fabbrica spenta
Il commento. Venerdì l’ennesima firma mancata, un nuovo capitolo surreale di una storia che, purtroppo, è tremendamente vera
Piombino. Qualcuno prima o poi dovrà spiegarcelo. Dovrà svelare qual è lo strano processo chimico che ha tramutato in soli dieci anni il ciclo integrale che trasformava la ghisa in acciaio e l’acciaio in rotaie in una colata continua di annunci, promesse disattese e firme mancate. Sì, perché dallo spegnimento dell’altoforno ad oggi a Piombino è successo esattamente questo.
Nella città dell’acciaio c’è un universo parallelo in cui si rincorrono le voci di piani di rilancio della siderurgia, contatti di alto livello tra multinazionali, board convocati, tavoli ministeriali e accordi pronti per essere firmati. E poi c’è la realtà del “sottosopra”, oltre le mura che separano la città dallo stabilimento. Dove, dal freddo stanzone del consiglio di fabbrica, i sindacalisti lanciano allarmi che, ormai, si perdono in un rumore di fondo: impianti fermi, treno rotaie con gli ordinativi agli sgoccioli, ammortizzatori sociali in scadenza e operai in cassa integrazione, illusi prima e delusi poi. E questa fitta nebbia sul futuro non accenna a diradarsi.
Quello che è successo venerdì è stato l’ennesimo capitolo surreale di una storia che, purtroppo, è tremendamente vera. È tutto pronto al ministero per la firma dell’intesa tra Jsw Steel e Metinvest Adria sulla ripartizione delle aree. È il primo mattone di un piano di rilancio complesso. Le rotaie al gruppo indiano, i prodotti piani alla newco italo - ucraina che ha scelto Piombino per realizzare una nuova acciaieria elettrica da 2,5 milioni di tonnellate annue di acciaio. Un’occasione venuta dal nulla, da cogliere rapidamente. Lo pensarono tutti quando gli ucraini si affacciarono in città, poco meno di un anno fa. «Finalmente ci siamo, c’è l’accordo». «Stanno andando a Roma per firmare». «No, fermi tutti». «Fumata grigia». «Tendente al nero». «Niente da fare, ma c’è uno spiraglio: si fa la prossima settimana». Al ministero ci deve essere un buco nero con un campo gravitazionale così intenso da inghiottire puntualmente annunci, buone intenzioni, accordi verbali e perfino i dirigenti aziendali pronti a firmare. Venerdì abbiamo pure assistito alla liturgia dei comunicati stampa politici inviati da uffici stampa di partiti per celebrare una firma che, in realtà, non c’è stata. Una corsa sbilenca della politica a mettere il cappello su qualcosa che, ad oggi, non esiste. Poi, l’adrenalina svanisce. «Ma la firma è ancora a un passo». E, inesorabile, inizia di nuovo il giorno della marmotta della siderurgia.
Ora, ci sentiamo di dare due timidi consigli a chi naviga nei pressi del porto di Piombino. Occhio, l’accordo sulle aree è solo il primo passo di una maratona. Viene dato per scontato da mesi dal ministro Urso, annunciato più volte dal gruppo indiano Jsw. Ma, ad oggi, mai messo nero su bianco. Qualora dovesse concretizzarsi arriverebbe con mesi di ritardo, basti pensare che sono già scadute due proroghe concesse per la sottoscrizione degli accordi di programma tra le istituzioni e le multinazionali, di cui la firma sulla ripartizione delle aree è solo una base. Secondo consiglio: non ci sarebbe comunque niente da celebrare. Non vi affannate: una firma non sposta un voto, specialmente all’ombra di uno stabilimento nel quale negli ultimi 15 anni è successo di tutto tra cambi di proprietà, progetti industriali disattesi, intese firmate e promesse mai mantenute. La partita sull’occupazione, ad esempio, inizierebbe proprio al momento dell’intesa sulle aree. Ma è solo un aspetto. Il progetto di rilancio dovrà essere costruito mattone dopo mattone. Metinvest-Danieli ha lavorato ma non ha ancora la certezza di possedere i terreni su cui poggiare le fondamenta della nuova acciaieria, peraltro su aree demaniali pubbliche le cui concessioni sono scadute da tempo, ma che di fatto risultano ancora in mano a Jsw. Poi c’è il sistema della siderurgia italiana che ha già espresso, tramite Federacciai, tutta l’ostilità possibile sul piano-Piombino. Dunque, si fermi questo balletto di annunci e parole tranquillizzanti che ricordano sinistramente l’orchestra che suona sul Titanic.
Poche parole, solo fatti. Non diteci neanche più quando si intende firmare l’accordo, lo si faccia e basta. E se non ci sono le condizioni il governo prenda la situazione (e le aree demaniali) in mano, restituendo decoro alla vertenza e dignità agli operai. Quindi, cappelli ben saldi in testa e penne in pugno per firmare: i piombinesi il mare lo conoscono bene e non hanno certo voglia di fare un giro sul Titanic.