Il Tirreno

L'inchiesta

Elba, il ristorante finito sotto sequestro: i debiti e le accuse secondo la Finanza

di Stefano Taglione
Il ristorante "Il Cantuccio" in centro a Marina di Campo
Il ristorante "Il Cantuccio" in centro a Marina di Campo

Il locale di Marina di Campo resta aperto, ma è stato nominato un amministratore giudiziario: indagato il titolare Giovanni Muti

06 luglio 2024
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CAMPO NELL’ELBA. Sequestrato in piena estate il ristorante “Il Cantuccio” di Marina di Campo e la società “Mamal sas”, che attualmente lo gestisce. È quanto ha disposto il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Livorno, Antonio Del Forno, dopo un’indagine della guardia di finanza in cui risulta indagato – il processo è in fase preliminare e la prossima udienza è a ottobre – il ristoratore elbano Giovanni Muti, 70 anni e originario di Rio Marina.

«Dalle attività svolte – scrivono in una nota le fiamme gialle – è emerso come i titolari del locale avessero accumulato in particolare debiti verso l’erario per 800mila euro, con una sistematica omissione del pagamento agli enti previdenziali della contribuzione obbligatoria e dei debiti tributari allo Stato. Peraltro al curatore fallimentare non è mai stata consegnata la contabilità del locale». Il giudice ha nominato, come amministratore giudiziario ai fini della gestione dell’azienda, il piombinese Enrico Pecchia. In questo modo il ristorante del centro di Marina di Campo continuerà a lavorare pure in queste settimane, dato che siamo alle porte del periodo più florido dell’economia turistica elbana, con l’arrivo della piena estate.

L’imprenditore – si legge nel decreto di sequestro preventivo – «in qualità di amministratore e legale rappresentante della Grm srl, dichiarata fallita dal tribunale di Livorno, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, quantomeno dal 2009 avendo dichiarato la distruzione della contabilità precedente a seguito dell’alluvione del 2011, distruggeva o sottraeva, o comunque teneva i libri e le altre scritture contabili, in modo da non rendere possibile l’esatta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, nonché distraeva l’avviamento della società costituita dall’esercizio di una storica attività di ristorazione all’insegna “Il Cantuccio” cedendola di fatto alla Emmegierre, con contratto di affitto di azienda per 12 anni, società di cui amministratore e socio era il figlio Marco (estraneo alle indagini e al quale è poi subentrato lo stesso Giovanni Muti) al canone annuo di 12mila euro, che non veniva di fatto corrisposto a eccezione della somma complessiva di 4.095 euro nel 2013 e di 34mila, quale debito che la Grm aveva nei confronti della società Palombaia Sa, e che veniva assunto dalla stessa Emmegierre». Inoltre – si evince ancora dagli atti – «con operazioni dolose consistite nell’omettere sistematicamente i pagamenti per i contributi previdenziali e assistenziali per 222.328,86 euro, fiscali per 334.018,76 euro e per imposte di registro, canone Rai e tassa sui rifiuti per 41.657,12 euro, così accumulando un debito nei confronti dell’Agenzia delle entrate e riscossione per 794.388,53 euro, ha cagionato con dolo il fallimento della società di cui era amministratore, aggravando il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento, benché il capitale sociale fosse azzerato già nel 2012».

Secondo il giudice, Giovanni Muti, che Il Tirreno ha provato a contattare senza esito per ascoltare la sua versione dei fatti, «ha proseguito con la medesima metodica, consistita nell’essersi reso totalmente inadempiente alle obbligazioni previdenziali e tributarie, nell’accumulare così una assai consistente esposizione debitoria e, a questo punto, far subentrare una nuova società nella gestione dell’attività di ristorazione, anche con la Emmegierre». Società, quest’ultima, che secondo il tribunale non avrebbe neanche «mai presentato alcun bilancio».

«Perseverando nella metodica posta in essere con la Gmr e la Emmegierre Muti ha provveduto dal gennaio 2020 – scrive ancora il giudice – a sostituire nella gestione del ristorante la Alma (un’altra società nel frattempo subentrata ndr) mediante la società Mamal di Muti Giovanni & Co sas, nella quale quest’ultimo risulta socio accomandatario. A ulteriore dimostrazione dell’assoluta mancanza di volontà di Muti di adempiere anche in minima parte agli obblighi nei confronti dello Stato connessi allo svolgimento della sua attività, il curatore ha riferito che il Comune di Campo nell’Elba ha rilevato che sia la Grm che le altre società che si sono succedute nella gestione dell’attività non abbiano mai provveduto al versamento della tassa di occupazione del suolo pubblico, mentre la Mamal addirittura non ha neanche presentato alcuna richiesta di occupazione del suolo pubblico per lo svolgimento dell’attività». 

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