Il Tirreno

La sentenza

Elba, assolti tutti per il parcheggio di Capo Bianco: «È finito un incubo»

di Stefano Taglione

	Il parcheggio di Capo Bianco (foto d'archivio)
Il parcheggio di Capo Bianco (foto d'archivio)

Per l’ex dirigente del Comune di Portoferraio Mauro Parigi terza assoluzioni in tre processi in cui era imputato: «Uscito pulito da 14 abusi d’ufficio, ho sempre perseguito l’interesse pubblico». Fra le persone scagionate anche l’imprenditore elbano Enrico Cioni, la moglie e il progettista

21 giugno 2024
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PORTOFERRAIO. Tutti assolti per la costruzione del parcheggio di Capo Bianco che la procura riteneva realizzato «senza titolo, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e in assenza di autorizzazioni». Scagionati dopo anni da ogni reato contestato – abuso d’ufficio e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – l’architetto livornese Mauro Parigi (70 anni ed ex responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Portoferraio) e l’imprenditore settantatreenne Enrico Cioni, rappresentante della società Futura, proprietaria del terreno dove otto anni fa era stata prevista l’area di sosta, su vari terrazzamenti, alla quale poi si è aggiunto un punto di ristoro. Con loro sono stati assolti anche la moglie di Cioni – la settantatreenne portoferraiese e con lui amministratrice di Futura, Raffaella Pucci – e il titolare dello studio associato Tecne 2000, il settantanovenne tecnico progettista Giuliano Pardi, che secondo la ricostruzione di parte avevano violato le disposizioni in merito ai vincoli paesaggistici e ambientali previste nel testo unico dell’edilizia e per aver realizzato opere in assenza di autorizzazioni. Non, però, a parere dei giudici. Per tutti l’assoluzione è con formula piena: non hanno commesso alcun reato.

I fatti

L’avvio dei lavori risale, come anticipato, al 2015. Nel giugno di quell’anno fu però lo stesso Comune, in seguito a un sopralluogo, a disporre la chiusura dell’area, fermando i lavori in quanto realizzati dopo aver effettuato un cambio di destinazione d’uso in assenza del titolo edilizio. Nel luglio di quello stesso anno, tuttavia, il sindaco ne dispose la riapertura per motivi di sicurezza pubblica e di viabilità, rispondendo alle sollecitazioni della prefettura. Le contestazioni degli inquirenti in merito al presunto abuso d’ufficio, in ogni caso, risalgono al periodo successivo e il Comune, assistito dall’avvocato Francesco Magro, si era costituito parte civile. Gli imputati sono invece stati difesi dai legali Carlo Di Bugno (Parigi), Marco Talini (Cioni e Pucci) e Vinicio Vannucci (Pardi). Cioni e Parigi secondo la procura avevano procurato all’imprenditore portoferraiese «l’ingiusto vantaggio patrimoniale di realizzare l’opera senza titolo, in un’area per la quale gli strumenti urbanistici comunali prevedevano soltanto interventi soggetti a permesso a costruire convenzionato», così era scritto nel decreto di citazione a giudizio. Insieme erano imputati, inoltre, per aver «attestato falsamente che erano state realizzate opere provvisionali per la messa in sicurezza di un movimento franoso, mentre quelle realizzate non erano provvisionali, ma definitive, e l’area non era interessata da alcun movimento franoso, come indicato nella stessa relazione geologica allegata alla richiesta di sanatoria». Accuse, tutte, che sono però cadute di fronte al collegio del tribunale, presieduto dal giudice Luciano Costantini, con la procura – in aula la pubblico ministero Sabrina Carmazzi – che per Parigi aveva chiesto due anni e mezzo di reclusione e per Cioni due.

Le reazioni

Parigi, nel giro di pochi anni, esce pulito da ben tre processi che lo vedevano imputato «per 14 abusi d’ufficio e sette falsità ideologiche», le sue parole all’indomani dell’ennesima sentenza a lui favorevole. Gli altri procedimenti penali, finiti tutti con assoluzione con formula piena anche per i coimputati, riguardavano la costruzione di una strada in località Valcarene (sempre nel comune di Portoferraio, vicino a un’area in uso all’Esercito italiano) e di un parcheggio in una zona agricola a ridosso della Biodola, un’altra bellissima spiaggia dell’isola. «Dopo cinque anni questa è la fine di un incubo – afferma l’architetto, ora in pensione e lontano dall’Elba – Il mio lavoro è sempre stato improntato al perseguimento dell’interesse pubblico e ora lo ha vidimato anche il tribunale. Sono contento di questo epilogo, ma non è giusto aver vissuto così tanto nel limbo, non ce n’era bisogno. Ci sono persone che mi avevano già dato colpevole nonostante niente fosse stato deciso, ma è anche vero che in Italia ormai il rinvio a giudizio equivale a una condanna e quando ormai le notizie dei processi si diffondono tu, per molti, sei già colpevole. Il rammarico è che molti non sapranno dell’assoluzione e penseranno ancora che sia colpevole, quando invece non lo sono mai stato».

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