Il Tirreno

Le indagini

Mafia e cave, ritrovate le bobine con le intercettazioni “scomparse”: «Mafiosi, politici e imprenditori a Carrara»

di David Chiappuella

	A sinistra unn’immagine del servizio di Far West a destra il giudice Augusto Lama
A sinistra unn’immagine del servizio di Far West a destra il giudice Augusto Lama

L’investigatore: «Si parlava anche di politici e imprenditori»

30 settembre 2024
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MASSA CARRARA. La scoperta potrebbe consentire di riscrivere non solo la storia della lotta alla mafia, svelando collusioni e retroscena finora rimasti oscuri, ma anche quella di Carrara e dell’Italia degli ultimi trent’anni.

Sono state ritrovate infatti le intercettazioni della procura di Massa-Carrara, che nel giugno 1991 erano state effettuate nell’ambito della maxi inchiesta sulle infiltrazioni della mafia corleonese alle cave di Carrara, e che, secondo gli investigatori, avvaloravano quella pista. Ancora una volta, dunque, si torna a parlare di ciò che accadde nella nostra provincia dal 1987 al 1992, durante i cinque anni in cui la più grande azienda mondiale di marmo finì sotto l’influenza dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, legati a Totò Riina, dopo che Raul Gardini comprò con la Calcestruzzi Spa di Ravenna (impresa capofila del gruppo Ferruzzi) la Sam-Imeg, società che di fatto controllavail 65% delle cave e della lavorazione del marmo a Carrara.

L’inchiesta del procuratore Lama

Già dall’estate 1990 l’allora sostituto procuratore di Massa Augusto Lama, in collaborazione con il maresciallo della Guardia di finanza Piero Franco Angeloni, iniziò ad indagare, aprendo un procedimento contro Antonino Buscemi, che aveva preso il controllo delle cave e aveva mandato a gestirle suo cognato, il geometra Girolamo Cimino, in veste di amministratore delegato della Sam-Imeg.

Lama, però, dovette astenersi dall’inchiesta il 15 febbraio 1992, dopo un’ispezione disposta dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, socialista ed un procedimento disciplinare avviato su richiesta del giudice Francesco Castellano, all’epoca procuratore generale della Corte d’appello di Genova, sulla base di un esposto che censurava le sue esternazioni sui possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia.

Il fascicolo apuano, che conteneva anche 27 bobine di preziose intercettazioni ambientali, finì prima alla procura di Lucca, poi a Firenze ed infine al tribunale di Roma. La procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, stava cercando queste bobine da mesi, nell’ambito dell’indagine sul presunto insabbiamento dell’inchiesta mafia-appalti, a cui lavorava nel 1992 il giudice Paolo Borsellino.

«Un’indagine apparente»

L’estate scorsa, infatti, la procura nissena ha iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento alla mafia Gioacchino Natoli, già presidente della Corte d’Appello di Palermo e Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma ed attuale presidente del tribunale della Città del Vaticano. L’accusa rivolta ad entrambi, che nel 1992 erano pm nel pool antimafia insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è proprio quella di non aver tenuto nella dovuta considerazione l’inchiesta apuana condotta da Lama. Natoli, in particolare, secondo i magistrati nisseni, dopo l’invio delle carte da Massa, avrebbe svolto a Palermo una «indagine apparente», «richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini» e di aver disposto, d’intesa con l’allora capitano ed oggi generale della Guardia di finanza Stefano Screpanti, anch’egli indagato, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti.

Le intercettazioni disposte da Natoli sembravano scomparse, ma sono state ritrovate nei mesi scorsi al tribunale di Palermo.

E adesso, dopo tante ricerche, sono riemerse dall’oblio anche le bobine relative ai controlli ordinati da Lama. A ritrovarle, in un vecchio archivio del tribunale di Roma, sono stati i finanzieri del Gico, il gruppo antimafia del nucleo di polizia economico finanziaria. All’appello, però, mancano ancora i brogliacci contenenti le loro trascrizioni.

Il racconto del finanziere che indagò

«Non sapevo dove erano finite le bobine ed i brogliacci. -spiega oggi Angeloni, che nei mesi scorsi è stato sentito come testimone dalla procura di Caltanissetta e, indirettamente, dalla commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo- Però, ricordo bene che in esse, oltre che di mafiosi arrivati dalla Sicilia, si parlava di politici ed imprenditori. Due ingegneri discutevano su persone venute dalla Sicilia e di un summit, a cui parteciparono anche pretori, uno dei quali proveniente da Palermo».

Quelle intercettazioni, secondo gli investigatori, contenevano le prove dell’assalto di Cosa nostra al gruppo Ferruzzi. «Falcone l’aveva compreso. -conclude l’ex maresciallo, oggi in pensione- Quando dichiarò che la mafia era entrata in borsa, stava indicando una strada ben precisa».

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