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Massa-Carrara, è crisi nera dei bar: in quattro anni chiudono in 70
Tra le cause, la concorrenza, l’inflazione, l’offerta non al passo coi tempi
MASSA-CARRARA. C’era una volta il bar, luogo di ritrovo per eccellenza dove sorseggiare una tazzina di Espresso o sbocconcellare un panino: negli Anni’80, se ti alzavi all’alba e ti rimboccavi le maniche, compravi una buona miscela di caffé e avevi (anche solo) un pizzico di propensione all’ascolto degli avventori, l’incasso era assicurato e il fallimento dell’impresa un’ipotesi più unica che rara. Da allora è cambiato il mondo: e anche sui i bar hanno cominciato a soffiare i venti di crisi. In provincia di Massa-Carrara tra il 2019 e il 2023 la polvere si è depositata su 69 banconi, cioè ha chiuso il 9, 1 per cento dei bar tra quelli apuani e quelli lunigianesi su un totale complessivo di 689 imprese che svolgono questa specifica attività: è il dato contenuto nel Rapporto Economia curato dall’Istituto di Studi e Ricerche della Camera di Commercio Toscana nord-ovest. Si tratta di un fenomeno nazionale, tant’è che un’indagine di Fipe Confcommercio stima che dal 2019 al 2023 il Belpaese ha perso 20mila di questi storici ritrovi che affondano le radici nell’italianità più pop.
La mappa Dalla costa alla Lunigiana, a chiunque verrà alla mente il nome di un bar che ha spento la macchina del caffé. A Massa, per esempio, il Bar del Teatro di via Bastione che aveva chiuso, poi riaperto e da qualche tempo ha di nuovo serrato o il mitico Arpagaus (che era anche pasticceria. A Carrara il Caffé I Girasoli di via Aronte, a due passi dalle Poste; a Marina di Carrara il Gracy bar. E sono esempi.
La rivalità Restano da comprendere le cause della chiusura che non sono univoche. Innanzitutto c’è stato l’aumento della concorrenza: negli anni pre-pandemia da Covid le aperture sono state tante anche in provincia di Massa-Carrara, e anche di locali e localini a metà tra bar e ristorazione. Così il barista ha dovuto cominciare a destreggiarsi tra colazioni variegate, pietanze e insalatine, cocktail e sfizi vari, intrattenimento per continuare ad attrarre il cliente: a diversificare insomma l’offerta, a rinnovarsi rispetto al modello classico della tazzina di caffé e/o del calice di Prosecco. Non tutti ci sono riusciti – anche perché il raggiungimento dell’obiettivo comporta non solo competenze e abilità ma anche investimenti – e dopo l’esplosione del numero delle attività, adesso si assiste al colpo di coda.
L’inflazione Un’altra con-causa è la corrosione – negli ultimi tre anni – del potere di acquisto delle famiglie, che sono costrette a risparmiare anche su brioche e cappuccino. Supponiamo che prima che l’inflazione galoppasse, il potere di acquisto degli apuani fosse di mille euro e supponiamo che ci fossero 10 bar: a ciascuno, in teoria, toccava una fetta di clientela che valeva 100 euro; se con l’inflazione il potere di acquisto scende a 900 euro, e nel contempo i bar da 10 diventano 15, si erode la quota di mercato delle singole imprese.
Non solo Concorrenza e inflazione sono le macro-cause ma dietro alla chiusura di un bar ci può essere anche una scelta di vita: è un lavoro molto faticoso – impegna per lo più, secondo Fipe, sette giorni su sette e per una media di 14 ore giornaliere – perché il barista è costretto, alla luce anche del rialzo della spesa per luce e gas, a prendere al volo tutte le chance di incasso: colazioni, pause pranzo, aperitivi del tardo pomeriggio che sfumano nella sera.
E adesso? Secondo gli esperti la chiusura dei bar è ormai un fenomeno-realtà, non è ancora dirompente ma deve essere tenuto sotto monitoraggio: per ora erano stati proprio i bar a salvare la vita dei centri storici mentre il commercio fisso al dettaglio produce da lungo tempo serrande abbassate. Sempre secondo gli addetti ai lavori, le attività che hanno chiuso sono per lo più – ma ci sono le eccezioni – quelle marginali, con un’identità più debole, che non sono riuscite a stare al passo con l’evoluzione dei modelli di consumo. Ultimo dato, non pare essersi verificata la trasformazione, la “conversione”, si potrebbe dire – da bar a ristorante: questi ultimi nella provincia apuana sono 1.016 e tra il 2019 e il 2023 dell’1, 9%, ovvero 19 nuovi cuochi che si sono messi ai fornelli, secondo i dati del Rapporto Economia 2024 dell’Isr.
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