Il Tirreno

La decisione

«Sono vittime di tortura, non scafisti»: scarcerati i due giovani sudanesi sbarcati a Carrara

di Melania Carnevali
«Sono vittime di tortura, non scafisti»: scarcerati i due giovani sudanesi sbarcati a Carrara

Erano sulla Life Support arrivata ad aprile. Al giudice hanno raccontato di essere stati obbligati a guidare il gommone: «Versione credibile, hanno segni di violenza sul corpo»

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CARRARA. Hanno entrambi «evidenti cicatrici» e «segni di lesioni sul corpo» a dimostrare, per sempre, le torture che hanno subito nei lager libici in attesa di imbarcarsi e partire per l’Europa. E loro stessi, i due giovani sudanesi sospettati di essere scafisti, hanno raccontato più volte, durante gli interrogatori, che non lo erano, che erano migranti qualunque, vittime come gli altri di un sistema ben collaudato di violenza. E la procura di Siracusa ha creduto loro, tanto da chiedere, e ottenere, la revoca della misura cautelare in carcere, in virtù dell’ex articolo 54 del codice penale secondo cui «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».

I due giovani, uno di 23 anni e l’altro di 27, erano sbarcati a Marina di Carrara lo scorso aprile. Erano a bordo della Life Support di Emergency insieme ad altri cinquanta migranti. La squadra mobile li arrestò ipotizzando che potessero essere gli scafisti. Due gli elementi che li avevano portati a questa conclusione. Uno zainetto dentro il quale è stato trovato un gps che non poteva che – a detta degli agenti – essere servito loro a orientarsi nel Mediterraneo. E l’odore di benzina negli abiti che potrebbe essere riconducibile al contatto continuo con il motore del gommone su cui erano tutti imbarcati. Inoltre due migranti avevano confermato che erano stati loro a guidare il gommone.

E questo, i due giovani sudanesi, lo hanno confermato davanti al giudice. Hanno però raccontato anche di essere stati obbligati a occuparsi del gommone. Hanno raccontato di essere stati loro stessi chiusi a lungo nelle carceri libiche e di essere stati picchiati. Hanno mostrato i segni di quella che potrebbe essere la tortura che hanno subito nei lager. Lì mangiavano solo pane, bevevano acqua salata. Dormivano accatastati sognando di fuggire dalla Libia.

Secondo il giudice siciliano (il fascicolo è passato al tribunale di Siracusa, che è il primo territorio italiano toccato dai migranti) , Andrea Migneco, «la circostanza secondo cui i due indagati si trovassero già in territorio libico non costituisce, all’evidenza, una volontaria adesione a una condizione di pericolo liberamente provocato, essendo ben diversa la eventuale volontà di partire in modo clandestino per l’Italia dalla accettazione consapevole del rischio di dover scampare a violenze fisiche e psicologiche mediante la commissione obbligata della condotta delittuosa».

La versione degli indagati, inoltre, quella secondo cui avrebbero «subito pesante e reiterate violenze fisiche durante la permanenza in campi e prigioni libiche ad opera di trafficanti armati di uomini, i quali, successivamente, li avrebbero costretti a imbarcarsi nel natante con altri migranti dietro la minaccia delle armi», ecco questa versione è «credibile».
 

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