Lucca, ha la miocardite ma la dottoressa lo scambia per un mal di pancia: condannata a risarcire l’Asl
L’errore della dottoressa del pronto soccorso con il suggerimento di «bere tanta acqua»
LUCCA. Lui, il paziente, non è morto per miracolo, anche se le aspettative di vita si sono di molto ridotte. L’Asl ha pagato per evitare in Tribunale una causa persa in partenza. E poi c’è lei, la dottoressa del pronto soccorso, che, per l’accusa, rimandò a casa il paziente con una diagnosi di mal di pancia simili a quelli che capitano quando ci si abbuffa troppo. «Beva tanta acqua e prenda qualcosa per il bruciore di stomaco» fu la prescrizione medica.
In realtà l’uomo, 41enne all’epoca, residente in Media Valle, era stato colpito da un’ischemia miocardica. Se ne accorsero i medici di cardiologia quando il paziente tornò con gli stessi malesseri di due giorni prima. Salvato in extremis, anche se l’apparato cardiaco tra cuore e coronarie risultarono danneggiati in maniera irreversibile.
Causa evitata
Per quell’abbaglio diagnostico, l’Asl pagò 155mila euro all’uomo evitando di finire in Tribunale. Ora la dottoressa viene condannata dalla Corte dei conti a risarcire l’Asl Toscana Nord Ovest con 124mila euro considerando la riduzione del 20 per cento chiesta e ottenuta dalla donna. L’episodio risale al 25 dicembre 2011. Lo scenario è il pronto soccorso nel pomeriggio del giorno di Natale. Il paziente arriva in ambulanza con un forte dolore di stomaco che si sposta anche alla schiena. Dopo poche ore il 41enne viene rimandato a casa con diagnosi di “epigastralgia” e prescrizione di una dieta idrica e di una terapia anti-spastica ed anti-acida. Il 27 dicembre è di nuovo in ospedale. L’approccio al paziente è diverso. Viene sottoposto a elettrocardiogramma e trasferito all’Unità operativa di Cardiologia, con la diagnosi di «ischemia miocardica subacuta con elevati valori della troponina».
Le accuse
Le perizie medico-legali sono concordi nel concludere che la dottoressa «sia incorsa in un grossolano errore diagnostico nell’aver ricondotto ad una banale patologia gastroenterica quella che era, in realtà, una manifestazione di ischemia miocardica in atto o, al più, in fase prodromica, successivamente complicatasi con una severa disfunzione ventricolare sinistra».
I consulenti scrivono apertamente di omissione di «diagnosi differenziale di infarto acuto del miocardio che è stata il risultato del comportamento negligente della dottoressa rilevabile sotto vari profili. Una prima importante mancanza si riscontra nella assoluta carenza dell’indagine anamnestica del paziente preso in cura. Ma la grave responsabilità è comunque da registrarsi soprattutto in relazione alla mancata prescrizione degli esami clinici ed accertamenti strumentali, rapidi e non invasivi, che sono comunemente ritenuti necessari e quindi prescritti per dirimere i dubbi diagnostici a fronte di un quadro anamnestico e sintomatologico con caratteristiche analoghe a quelle manifestate dal paziente in questione».
I sintomi del paziente erano chiari nell’indicare come prima cosa da fare quegli accertamenti previsti dal protocollo seguito al pronto soccorso. Quel pomeriggio la dottoressa decise di non disporre un esame elettrocardiografico, né indagini ematochimiche «comprendenti i dosaggi dei marcatori cardiaci».
La colpa grave
Per la Corte dei conti, sulla scorta dei plurimi pareri medico-legali, «l’omessa diagnosi della patologia cardiaca nelle sue fasi iniziali, a seguito della visita effettuata dalla dottoressa al momento del primo accesso in pronto soccorso il 25 dicembre 2011, ha modificato in senso peggiorativo l’evoluzione dell’insulto ischemico e alla fine provocato effetti pregiudizievoli anche irreversibili sullo stato di salute del paziente, in quanto ha impedito un intervento terapeutico più tempestivo e maggiormente efficace».
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