“Favorì Renzi”, ma non era vero: l’avvocato Taormina dovrà risarcire l’ex procuratore di Lucca
Giuseppe Quattrocchi ha portato in tribunale il legale che fu anche sottosegretario con Berlusconi
LUCCA. Un’allusione che alla prova dei fatti non andò oltre il chiacchiericcio. Tra invettiva e pettegolezzo politico. E senza un riscontro che ne giustificasse anche la più severa delle critiche. Una base inesistente su cui venne costruito un alone di discredito diffuso a livello nazionale. È dalla costola di una vicenda che ebbe un risalto mediatico – le intercettazioni di Matteo Renzi con l’allora generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi – che ha avuto origine un seguito rimasto nell’ombra dopo l’esposto presentato «per accertare se il generale della Guardia di Finanza Adinolfi abbia bloccato alcune indagini a carico di Renzi quando era a capo del comando interregionale di Emilia e Toscana tra il 2011 e il 2014».
La causa
Quello che era rimasto sottotraccia dopo il polverone iniziale riguardava la causa per danni intentata dall’ex procuratore capo di Firenze e di Lucca Giuseppe Quattrocchi contro l’avvocato Carlo Taormina, autore delle considerazioni velate e ammiccanti su presunti favori di cui avrebbe goduto il futuro premier: la Procura non avrebbe indagato sugli esposti firmati da Alessandro Maiorano, da oltre dieci anni stakanovista nel confezionare attacchi e querele all’indirizzo di Renzi.
Condanna bis
Il risultato è stata una prima condanna per diffamazione a carico dell’avvocato Taormina. Una sentenza di piena responsabilità confermata di recente anche dalla Corte d’Appello davanti alla quale l’ex sottosegretario forzista del governo Berlusconi aveva impugnato il verdetto a lui sfavorevole. Il senso del secondo pronunciamento dei giudici fiorentini conferma il primo esito: il legale ha diffamato il magistrato e lo deve risarcire con una somma che sfiora i 40mila euro tra capitale e spese di lite.
Esposti ignorati
L’avvocato, in un’intervista a un quotidiano nell’estate 2015, sostenne che le denunce presentate dal suo cliente contro Matteo Renzi non andavano avanti. E poi aggiunse, con un’associazione ritenuta capziosa al punto da sconfinare nella diffamazione, che l’allora procuratore capo Quattrocchi era poi diventato consulente del Comune di Firenze. Il messaggio passato era quello secondo cui aveva voglia di denunciare Maiorano, ma le sue richieste di giustizia si arenavano in una Procura guidata da chi poi, una volta in pensione, era passato al servizio dell’amministrazione fiorentina. Una sommatoria di inesattezze messe in fila dalla Corte d’Appello e che sono alla base della conferma della condanna.
La tesi di Taormina
L’avvocato si era difeso argomentando che le intercettazioni tra il generale Adinolfi e Renzi, in cui emergeva un rapporto di amicizia, erano di dominio e interesse pubblico. E che lui aveva solo riferito nell’intervista i dubbi del suo assistito. Sul punto la sentenza chiarisce che il mandato di difensore «lo avrebbe autorizzato a esprimere in sede giudiziaria, all’interno degli scritti difensivi, ogni pensiero che fosse strumentale all’espletamento del mandato difensivo (purché non gratuitamente offensivo), ma non lo legittimava a diffamare chicchessia nell’ambito di un’intervista, che certamente non costituiva esercizio del mandato difensivo». l