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Calcio: Serie D

Parla Andrea Luci: «Livorno, sei il mio orgoglio». Mister Indiani, il rapporto con la città e il futuro

di Alessandro Lazzerini

	Il centrocampista amaranto
Il centrocampista amaranto

La bandiera amaranto si racconta: «Sono tornato per andare in serie C, ora voglio chiudere il cerchio»

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LIVORNO. La storia siamo noi. Se servisse una colonna sonora da inserire in un film che racconti la storia di Andrea Luci e il Livorno, le note di Francesco De Gregori sarebbero perfette. In 110 anni di storia amaranto, da qui sono passati migliaia di giocatori. Di nazioni diverse, con percorsi tra i disparati, gente che è rimasta negli annali e chi si è rivelato una meteora. Tra tutti, in cima alla montagna c’è lui. Il più amaranto di sempre. Che dopo tre promozioni (due sul campo e una a tavolino) va caccia del poker. «Le vittoria di Ostia ci dà veramente tanto – esordisce il capitano –. La reputavo una tra le partite più difficili di quelle in trasferta, per il valore della loro rosa e il campo dove giocavamo. Siamo stati bravi a nascondere tutte queste insidie. È una vittoria che conferma una volta di più la forza di questa grande squadra».

Che adesso non deve calare l’attenzione.

«Assolutamente. È fondamentale restare sul pezzo perché, se basta sbagliare due o tre partite per riaprire un torneo che stiamo dominando. Dobbiamo solo pensare a vincere e arrivare al traguardo il prima possibile».

È davvero il gruppo, come dicono tutti, il segreto di questo Livorno?

«É uno dei principali, senza dubbio. Anche perché con un numero così alto di giocatori era difficile restare così uniti. Potevano esserci tanti giocatori scontenti per aver giocato meno e invece qui anche chi ha meno spazio è sempre a disposizione».

E dal punto di vista tecnico?

«Abbiamo un reparto offensivo che fa invidia a tante squadre di Serie C. Ogni domenica ne giocano tre, ma chi resta fuori sarebbe titolare in ogni altra squadra di D. E poi a centrocampo, senza niente togliere agli altri, la stagione di Bellini e Hamlili è superlativa. Con così tanti giocatori offensivi, senza due equilibratori come loro sarebbe stato impossibile».

Ha già fatto parte di due Livorno vincenti (con Nicola in B e con Sottil in C), differenze e analogie?

 «In quelle due occasioni non partivamo come favoriti, soprattutto l’anno in Serie B c’erano avversarie che sulla carta partivano davanti e non di poco. Quest’anno siamo costruiti chiaramente per vincere e non è mai facile, perché tutti ti aspettano. Lo reputo un atto di forza ulteriore. Un’analogia? La forza dei gruppi e la mentalità vincente che li accomuna».

Quanto c’è di Indiani in questo Livorno?

«Tantissimo. In D è raro trovare un allenatore che sappia lavorare così, soprattutto sui giovani. Lo abbiamo sempre detto in questi anni, sono fondamentali e lui è riuscito a farli crescere in modo esponenziale. Per come lavora durante la settimana lo metto nella top 3 dei tecnici che ho avuto in carriera».

Tanti dei giovani sono livornesi, può avere influito sul loro ottimo rendimento?

«Di sicuro è stato un vantaggio, ma, come detto, la differenza l’ha fatta il mister. Anche negli anni passati c’erano ragazzi validi, ma non è stato fatto il lavoro giusto. Serve concederli il tempo di sbagliare e lavorare per correggere le lacune. Una stagione del genere per questi ragazzi può essere un’occasione unica per la loro carriera».

Senza niente togliere agli altri, qualcuno su cui è pronto a puntare una fiche?

«Il rendimento di Marinari è sotto gli occhi di tutti. Malva ha qualità top e margini di miglioramento incredibili. Ma davvero, tutti sono cresciuti tantissimo e possono fare bene».

110 anni di storia, migliaia di giocatori. Se scrivessimo oggi un libro sulla storia del Livorno, sarebbe sicuramente sugli uomini in copertina: che effetto le fa?

«È un orgoglio unico, un vero onore. Sono davvero contento del percorso fatto con questa maglia. Quando sono tornato avevo detto che avrei voluto riportare il Livorno almeno nei professionisti. Penso solo a chiudere questo cerchio».

Una partita che rigiocherebbe delle oltre 400 che ha collezionato?

«Ne dico due. La prima la finale con l’Empoli nei playoff per le emozioni che ho vissuto. Però la rigiocherei solo se sapessi che il risultato resterebbe quello (ride, ndr). E l’altra quella di Cagliari in Serie A per evitare l’infortunio al ginocchio e giocarmi la salvezza insieme ai miei compagni».

Domenica grande sfida e possibilità di fare un regalo di compleanno al Livorno.

«La speranza è quella di rivedere uno stadio pieno. Mi è dispiaciuto in questi mesi non vederlo con tanta gente come è stato nella storia del Livorno. Per domenica mi aspetto davvero un grande pubblico per regalarci una grande domenica. Vogliamo far gioire la nostra gente dopo tanti anni difficili».

Se dovesse spiegare a un bambino 110 anni di storia amaranto, come lo farebbe?

«Gli direi che è il Livorno è sofferenza. È stato il comun denominatore di tutti i miei anni qui. Non ci sono mai partite scontate. Ma la cosa più bella è che, dopo aver sofferto, il sapore di una vittoria è tutta un’altra cosa».

Al futuro ha pensato?

«Mi piace fare l’allenatore e ho preso il patentino per quello. Ma qui a Livorno c’è anche un settore giovanile da ristrutturare, potrebbe essere una bella prospettiva. Vediamo, non escludo nessuna opzione, compreso proseguire il cammino da giocatore. Ora penso solo a un obiettivo: riportare il Livorno in C. Poi in estate parlerò con la società».

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