Striscia, Sordomuti, Tre Ponti, Baracchine, Chiccaia: i luoghi del cuore di Livorno che non cambiano nome
Il linguaggio condiviso di una comunità è un atto democratico che si tramanda di generazione in generazione: da piazza Roma a piazza Magenta fino alla Rotonda, ecco gli esempi più noti
Livorno. I Tre Ponti sventrati, acqua passata. Il rio Ardenza che scorre (finalmente e liberamente), sotto quelle che erano le vecchie arcate. Le baracchine (troppe e nate male lungo le stesse mattonelle, sotto palme cagionevoli) abbattute, prese a ruspate. Restano cumuli di ricordi, piramidi di terra e mattoni alla Rotonda, vetri che si mischiano a intonaci, pezzi di acciaio e soffitti, ridotti a sacchi bianchi sul viale Italia. Noi che passiamo, transitiamo nello spazio e nel tempo, e guardiamo andare giù pezzi del nostro passato, punti di riferimento storici, sociali e geografici di una città che cambia.
Dé (cadente) in sintesi.
Ma non è il caso qui di ragionare se in meglio o in peggio a livello estetico o funzionale, nei tempi previsti o con evidenti ritardi. Non è questo il punto. Il punto è cosa resta sotto le macerie, dentro i cambiamenti. E qualcosa sotto resta, anche se radi al suolo tutto e poi ricostruisci altro. Anche se qualcosa, anche molto, è diverso. Lontano.
È la memoria dei luoghi. Perché restano ovviamente i ricordi di com’erano prima e i ricordi di ognuno legati a quelli scorci: baci, incidenti, tuffi, schizzi, gelati. Ma soprattutto rimangono i riferimenti, il linguaggio.
Oggi si dice geolocalizzazione, in fondo è il senso dell’orientamento con chi condivide con te un mondo finito. In questo caso Livorno, territorio che va dal Calambrone alla foce del Chioma. Non oltre, né in lungo né al largo (forse la Meloria sì, però). Siamo questi.
Il concetto potrebbe allargarsi perfino a molto altro. Addirittura ai valori. Ma insomma, il ragionamento sul linguaggio è piuttosto semplice, antropologico: chiamare un luogo con il nome condiviso dai propri simili per quel determinato spazio. La presa di coscienza linguistica di una comunità che quel luogo si chiama in quel modo, anche se è diventato altro. E in questo sport, i livornesi sono campioni del mondo di memoria orale, niente è scritto, tutto viene detto, assimilato, ripetuto, tramandato.
Prendiamo piazza Matteotti. Chi la conosce? Nessuno. È così solo per la toponomastica e i postini (ma solo in orario di consegne). Per tutti gli altri è piazza Roma. Vogliamo parlare di piazza della Vittoria? Cosa? Sì, piazza Magenta. Ah ok. Se qualcuno avesse qualche dubbio e volesse eccepire, basta chiedere a un agente immobiliare: zona Roma o zona Magenta. Non vi è traccia, o quasi, neppure nel linguaggio economico e commerciale, di piazza Matteotti e piazza della Vittoria. Non si dica poi che il livornese non ha solide radici nel passato.
Guardate che cosa è successo per la Rotonda di Ardenza, ormai da oltre cinque anni – era il 9 dicembre 2019 – intitolata al più importante livornese del secondo Novecento: l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Avete mai sentito un livornese dire: oggi vado alla Rotonda Ciampi? Oppure: ci si becca alla Rotonda Ciampi, bro? Non credo. E molti potrebbero anche, a ragione, esserne dispiaciuti di uno sgarbo linguistico alla memoria. Ma il linguaggio è forse l’ultima libertà di una comunità, perché non è imposto ma condiviso. È democratico vivaiddio. Si crea, si evolve e modella.
È un animale che si muove tra le generazioni e le contamina. Ecco perché per dire che «ci si trova al mare al Pendola», va bene anche «si va ai sordomuti». Per via che in quel complesso, prima che venisse trasformato in un condominio di lusso, era proprietà dalle suore devote a Santa Caterina da Siena e in estate era frequentato da bambini con disabilità. E che dire della “Striscia” per indicare il moletto di San Jacopo senza pensare a Gaza, ma ai bagni d’inverno? Lo struggino per dire l’inceneritore, oppure il fagiolo che sarebbe la rotatoria davanti a Barriera Margherita e La Chiccaia, il complesso popolare di Shangai in onore della signora che al piano terreno vendeva appunto, i chicchi, le caramelle. Ecco perché – state sicuri – i Tre Ponti e le baracchine resteranno nomi che non potranno essere sostituiti. Forse nemmeno da quello che verrà dopo. Cascasse il mondo.