Livorno e la "sua" Crocetta tra i tesori dei mercanti e il vecchio convento dei Trinitari
Viaggio nella Venezia alla scoperta dei luoghi segreti della chiesa di S. Ferdinando. Guide Labroniche: «Sotto il pavimento ossa e medaglie della Livorno delle Nazioni»
LIVORNO C’è un tesoro sotto il pavimento della chiesa di Crocetta. È quello di padre Saglietto. Mentre al primo e al secondo piano è come se tornassero a vivere, come per magia, quei frati trinitari del trapassato remoto con le loro abitudini in cucina tra mestoli e vasellame (è tutto originale). Tra resti del pollaio e lettini dove si coricavano. È un viaggio che attraversa secoli per quelle 70 persone guidate da un cantastorie d’eccezione, anzi due, Fabrizio Ottone e Francesca Sorrentino di Guide Labroniche.
Alzano un drappo del pavimento e comincia la storia sconosciuta a tanti della secolare chiesa di San Ferdinando, luogo simbolo della Venezia e dei suoi veneziani.
Coi suoi interni in stile barocco che sono una meraviglia per gli occhi rispetto all’esterno.
Quelle tombe del 1700
Sotto al drappo si scorge una della diverse tombe ricavate in verticale nello splendido mosaico sul pavimento fra l’abside e le panche dei fedeli. E si mostra una camera sepolcrale. «Il nome tombino è corretto – specifica Ottone – in quanto deriva da tomba. Poi ha preso altri significati». Ebbene sì, da quel “tombino” si intravedono, a due-tre metri di profondità i resti in alcune cassettine di mercanti che ebbero l’onore di esser sepolti qui assieme ai membri delle loro famiglie. Sarebbero mercanti della zona, probabilmente di origine francese di quella che fu la Livorno delle Nazioni datata 1700. «Praticamente una specie di cappella familiare – ricorda Ottone – e nelle cassette vi sono frammenti di ossa, medagliette, monetine e quant’altro a suo tempo sepolto assieme alla persona». Sopra le tombe, in latino, i nomi dei defunti appartenenti alle diverse “Nazioni” livornesi.
La tomba di Terriesi
Sotto l’altare, privilegio raro per un laico, la tomba di Francesco Terriesi, il diplomatico granducale dalle avventurose vicende come emissario del Granduca di Toscana a Londra, dove inoltre fondò la Florentine House, una casa commerciale nata col fine di far conoscere le produzioni toscane in Europa. Ma Terriesi fu molto di più di un abile imprenditore e di uno scaltro diplomatico: «Funse pure da 007 del Granducato e in un’occasione fu scoperto e assediato nella sua abitazione da fanatici anglicani - prosegue Ottone – Riuscì in maniera rocambolesca a fuggire dalla casa e scappare sul Tamigi con un ‘imbarcazione recuperata sul momento». Ma perché la tomba di Terriesi ha avuto questo privilegio? «Perché fu l’uomo che, dopo alcuni anni, raccolse l’ eredità filantropica e culturale del principe Ferdinando de Medici (un vero e proprio mecenate che volle far edificare la chiesa e il convento, un progetto di Giovan Battista Foggini poi terminato da Giovanni del Fantasia con inizio dei lavori nel 1706) scomparso prematuramente. Dopo le vicende inglesi Terriesi fu nominato provveditore al porto e alla dogana di Livorno e qui raccolse il testimone di Ferdinando e dispose le ultimazioni degli affreschi e le opere scultoree nella chiesa come la realizzazione, sopra l’altare, de “Gli schiavi liberati” ad opera di Giovanni Baratta».
Il convento segreto
Il tour prosegue e ai piani superiori: c’è anche padre Emilio, che fa gli onori di casa insieme a Ottone e a Sorrentino anch’essa una delle più apprezzate guide turistiche della città. Eccoci nel piccolo convento dei padri trinitari, quel che resta. Con oggetti ed aneddoti della vita quotidiana dell'Ordine che di solito non vengono mostrati al pubblico. Al primo piano uno spartanissimo lettino dei frati trinitari, abiti talari e un’immagine della Madonna di Montenero. Al mezzanino un cartello indica uno stanzino buio che a suo tempo funse da pollaio interno alla struttura religiosa. Al secondo piano la cucina dove i Trinitari si cuocevano i pasti. La storia di questi monaci è strettamente legata a Livorno e al quartiere Venezia dove i religiosi hanno espresso figure come padre Giovanni Saglietto, per oltre 50 anni nella chiesa di San Ferdinando, venerato come un santo e adottato dai “veneziani” comunisti come uno di loro in virtù della comune volontà di lotta contro la povertà e le ingiustizie. Stesso rapporto con gli altri Trinitari la cui ragion di nascita era fondata sull’assistenza ai bisognosi e ai sofferenti. I monaci intervennero sia con la raccolta di fondi per il riscatto degli schiavi cristiani deportati negli altri paesi («Ma gli europei facevano la stessa cosa con i “mori” - ricorda Ottone – e spesso la cosa si risolveva con gli scambi di “prigionieri») oppure offrendo se stessi al posto degli interessati.
Gli schiavi liberati
Tra le opere da segnalare, a firma del carrarese Giovanni Baratta, collaboratore del celeberrimo scultore barocco Francesco Borromini, “La Visione di San Giovanni di Matha”, fondatore dei Trinitari, nota anche come “Gli Schiavi Liberati”, che rappresenta un angelo intento a spezzare le catene di due prigionieri; un omaggio ai Padri Trinitari che si adoperavano per la liberazione degli schiavi. «Un angelo che spezza le catene di uno schiavo bianco – spiega ancora Ottone - ma soprattutto, sotto le due figure, la rappresentazione di uno schiavo “moro” che guarda in alto e anela anch’egli la stessa liberazione. Lo sguardo dei due schiavi, più che all’angelo, è rivolto al cielo come voler intendere la liberazione non solo dalle catene ma anche dal peccato».
Il tour speciale
L’apertura straordinaria delle tombe della chiesa di Crocetta si deve all’opera culturale straordinaria da parte dell’associazione Guide Livornesi, operativa da oltre 10 anni, di cui Ottone e Sorrentino sono i volti più noti: «Cerchiamo di proporre a chi viene da fuori città, ma anche ai livornesi stessi non solo le bellezze note della nostra città ma anche quelle “nascoste” organizzando, come per la chiesa si San Ferdinando, aperture ad hoc così come già successo con la “Livorno sotterranea”», raccontano le due guide.
Prossimo appuntamento, domani alle 16 (prenotazioni al 347 2718655), quello sui mestieri livornesi scomparsi come i maestri d’ascia e i calafati alla presenza dell’ultimo di questi artigiani ovvero il notissimo Fulvio Pacitto.