Il Tirreno

Livorno

Sanità

Impennata di polmoniti da influenza, la primaria: «Virus più aggressivi, pochi i vaccinati»

di Martina Trivigno

	Filomena Marrelli
Filomena Marrelli

La nostra intervista a Filomena Marrelli, primaria della Pneumologia degli Spedali Riuniti di Livorno

4 MINUTI DI LETTURA





LIVORNO. Per gli pneumologi quella di quest’anno è stata l’influenza più aggressiva degli ultimi 20 anni e gli effetti si vedono, anche a Livorno. «Come numero, le forme influenzali sono analoghe rispetto agli anni precedenti, eppure abbiamo visto più polmoniti, che un tempo erano invece un numero molto residuale», spiega Filomena Marrelli, primaria della Pneumologia degli Spedali Riuniti.

Dottoressa, partiamo dai numeri: quanti pazienti a Livorno hanno avuto bisogno del ricovero?

«Otto casi, un numero rilevante dal punto di vista statistico. Come da indicazioni ministeriali, abbiamo notificato quest’anno anche alcune forme gravi».

Si tratta di una situazione nuova per voi?

«Non nuova rispetto al Covid, ma assolutamente nuova per quanto riguarda l’influenza raffrontata con gli anni precedenti, in cui le polmoniti erano di gran lunga meno frequenti».

Come mai?

«Tutto fa pensare a un’aggressività virale diversa: verosimilmente sono quasi tutte forme contemporanee, nel senso che, nella stragrande maggioranza dei casi, risultano anche più positività virali, quindi non solo all’influenza del tipo A, ma spesso si ha in concomitanza anche l’influenza del tipo B. In altre parole si tratta di più forme virali che si rafforzano tra loro e riescono a dare come conseguenza una sintomatologia così importante».

Chi sono pazienti più colpiti?

«I più fragili, più anziani o immunodepressi, comunque pazienti che hanno delle comorbidità. In ogni caso vedere più polmoniti nella stessa stagione lascia un pochino perplessi rispetto a quella che era l’esperienza precedente. Siamo abituati a pensare, infatti, alle forme influenzali come forme sempre piuttosto lievi, con interessamento sempre di tipo per lo più sistemico, con sintomi come astenia, cefalea, febbricola, tutt’al più c’è l’interessamento delle alte vie aeree, ma non siamo invece abituati a immaginare l’influenza come causa di polmonite».

Al contrario siamo abituati ad associare la polmonite al Covid.

«Sì. Sulla scorta dell’epidemia da coronavirus, quando pensiamo al Covid pensiamo a polmoniti, quando invece parliamo d’influenza pensiamo a qualcosa di banale che in qualche modo viene superato senza grosse difficoltà o trattamenti farmacologici: la stragrande maggioranza della persone, come si usava un tempo, se ne sta a casa qualche giorno, si riguarda e teoricamente nel giro di pochi giorni torna in forma, ma quest’anno è diverso».

Per quale motivo?

«Innanzitutto perché le forme influenzali sono molto più lunghe, quindi lasciano strascichi non indifferenti e i pazienti lamentano per più tempo la persistenza dei sintomi. Non solo: interessando ad esempio i pazienti che hanno un habitus di patologia pregressa da un punto di vista respiratorio, in questo caso l’aggressione virale, un po’ come già successo per il Covid, riacutizza quel tipo di sintomatologia, realizzando una forma più importante con tosse piuttosto insistente, persistente e resistente ai trattamenti farmacologici. E questo nella migliore delle ipotesi. Anche perché queste forme virali danno luogo per lo più ad addensamenti di tipo interstiziale sul polmone che sono muti all'ascoltazione del torace».

Quindi?

«Non si apprezzano i rumori standard che si apprezzano comunemente quando c’è l’interessamento di tipo alveolare all’interno di una polmonite indicata come forma batterica. Le forme virali quasi sempre realizzano queste forme di tipo interstiziale che non si apprezzano in maniera significativa all’esame obiettivo, non almeno nelle prime fasi, e quindi possono “tradire” anche il clinico e, in questo senso, l’esame radiologico standard in un soggetto che mantiene una sintomatologia per così tanti giorni può essere utile per evitare di sottovalutare il quadro clinico».

Da una parte, diceva, incide la particolare aggressività delle forme virali: che dire della vaccinazione antinfluenzale?

«Il livello di copertura vaccinale non è sufficiente: quest’anno c'è stato sicuramente un calo di aderenza alle vaccinazioni da parte della popolazione, un po’ perché probabilmente sono un po’ arretrati su delle posizioni di perplessità all’idea di fare vaccini dopo quello anti Covid, e quindi provano una certa repulsione all’idea di rivaccinarsi anche per l'influenza. Chi ha fatto il vaccino, però, ha avuto sicuramente ottime possibilità di copertura».

Come possiamo difenderci dalle polmoniti da influenza?

«Al primo posto c’è la prevenzione, quindi, per il prossimo futuro, aderire alla campagna vaccinale per l’influenza è l’aspetto in assoluto più corretto perché rimane il baluardo principale per difendersi da queste forme influenzali. Al momento, poi, è importante evitare gli ambienti affollati. Lo dico sempre a tutti i miei pazienti: se dovete frequentare ambienti chiusi, tipo treno o aereo, indossate la mascherina Ffp2: rimane infatti una profilassi essenziale per situazioni di questo tipo, e questo vale in particolare per i pazienti più fragili che devono restare in ambienti chiusi diverse ore con la possibilità di infettarsi facilmente».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Primo piano
Sanità

Migliori ospedali al mondo, ce n'è anche uno toscano (e sale di posizione): la classifica 2025