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Da Livorno all'Europa, Ludovica Bulciolu è la lady dell’arte contemporanea tra star internazionali e gallerie cult

di Francesca Suggi
Da Livorno all'Europa, Ludovica Bulciolu è la lady dell’arte contemporanea tra star internazionali e gallerie cult

Dai banchi del liceo Classico a quelli della Sorbona. «I musei cittadini belli ma troppo nostalgici, ecco come li rivoluzionerei»

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LIVORNO. «Il mio è un lavoro precario e meraviglioso, come tanti altri nel mondo della cultura. Però lo amo e mi fa (s)battere, il cuore». L’umorismo labronico le è cucito addosso e non l’abbandona. Figuriamoci. Lei che si muove tra artisti internazionali, galleristi milionari, l’organizzazione di eventi e mostre tra Londra, Madrid e Parigi non demorde: il suo futuro è questo. Scritto nei suoi anni da studentessa prima al liceo Classico di via Rossi, poi alla Sorbona parigina e poi in giro per l’Europa Ludovica Bulciolu racconta del suo salto. Da Montenero dove è nata, all’Ardenza dove è cresciuta. «Sono sempre stata una secchiona con 4 a matematica: ho fatto il classico, una scuola piccola e strana, infestata dai fantasmi di chi ci è passato. Una scelta che rifarei mille altre volte. In quegli anni, la danza e la scrittura mi hanno accompagnata», ci scherza su lei che oggi ha 30 anni.

Il primo grande salto all’estero. Come è capitato?

«Avevo 17 anni e partii per il Brasile, per uno scambio scolastico. Arrivai in una piccola città dello Stato di São Paulo, dove rimasi un anno e feci la quarta liceo. Fu un’esperienza fortissima e indimenticabile: in ogni giorno ce n’erano dentro altri cento. Mia mamma era disperata perché non volevo più tornare. Poi non so come riuscì a convincermi, alla fine la maturità mi aspettava».

Esperta di arte contemporanea tra Lisbona, Londra, Madrid e Parigi. In cosa consiste di preciso il suo lavoro?

«Cerco di allontanarmi il più possibile da questa visione di esperta d’arte. Si può pensare che l’arte contemporanea sia un gioco per chi si annoia, una cosa da intellettuali che non serve a niente, e cerco nel mio piccolo di mostrare alle persone (e a me stessa?) che in realtà non è così. Nei miei studi di Storia dell’Arte e Archeologia alla Sorbona ero molto più affascinata da quest’ultima piuttosto che dalla prima: poi non so bene come è successo ma ci sono finita dentro. Forse ero stanca di studiare artisti deceduti e avevo voglia di interagire con i vivi. Non è facile spiegare il mio lavoro perché ne racchiude tanti: organizzatrice di eventi culturali tra cui mostre e programmi pubblici, Pr, scrittrice, instancabile ricercatrice di fondi, mediatrice culturale, figura ambigua sfruttata dai musei con contratti di lavoro inesistenti e sottopagata da galleristi milionari, tutto ciò mentre calpestata dal capitalismo tardivo e senza mai potersi buttare giù di fronte all’ennesimo bando respinto».

Le tappe più importanti e qualificanti?

«Le tappe più importanti: prima, curatrice di uno spazio indipendente d’arte contemporanea a Brixton, nel sud di Londra, dove ho lavorato in progetti con artisti internazionali, archivi locali ma anche iniziative del quartiere. Poi la selezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per il Young Curators Residency Programme, a Madrid. Infine recentemente una proposta di lavoro a Parigi, come co-direttrice di un ufficio pubblicitario che lavora nel settore della creazione artistica».

Perché non torna a Livorno per fare qualcosa nel suo settore? Come vede i nostri musei cittadini?

«I nostri musei cittadini sono belli, anche tenuti bene in realtà, però troppo nostalgici e pedanti. Ho voglia di vederli aperti alle 9 di sera, esplodere con l’energia di performers, artisti e programmazioni realmente inclusive, accessibili e sperimentali. Ho voglia di capire se gli artisti che stanno a Livorno pensano che l’arte abbia davvero il potere di cambiare le cose, e come. Sogno di organizzare un programma annuale di arti visive e sceniche, in collaborazione con un’istituzione locale e di mettere in scena una versione contemporanea rivisitata di vernacolo livornese. Chissà».

Nel suo lavoro cosa porta con sé di Livorno?

«La sfacciataggine si, a volte aiuta molto! Scherzi a parte, sicuramente porto dentro di me il mare e la passione per le piccole cose semplici».

Nel suo lavoro quali differenze in meglio o in peggio vede con l'Italia?

«Le differenze sono molte. Una di queste è che rispetto ad altri paesi in Italia ci sono pochi finanziamenti pubblici per l’arte. Ce ne sono di privati, che non è male nel senso che almeno sono generosi e meno impelagati in mille tassazioni e questioni burocratiche. Però rimangono in cerchie privilegiate e di nicchia, troppo poco accessibili».

Qualche personaggio famoso che ha incontrato? Aneddoti?

«Vivevo a Londra e una mattina scesi al mercato sotto casa a comprarmi un mazzo di fiori. Le strade erano deserte e mi ritrovai davanti Emma Watson. Vecchia crush dell’infanzia. Rimasi di ghiaccio e lei, bellissima e gentilissima, mi disse che le piacevano molto i miei fiori. Per paura di rompere l’incantesimo feci finta di non riconoscerla e rimanemmo a chiacchiera per un po'. Da buone vicine di casa».

Come vede Livorno e i livornesi da lontano?

«Da lontano Livorno è magica, e i livornesi matti. Mi disse qualcuno che è per via del vento, che scombussola il cervello. Sarà vero!?»

Cosa consiglierebbe ai ragazzi livornesi che hanno sogni da realizzare?

«Credere nei propri sogni, e non smettere mai. Parlare di questi a chi sa ascoltare e fare piccoli passi per far sì che accadano. Penso che uscire dal guscio, da qualsiasi tipo di guscio e non solo quello “livornese", aiuta molto a crescere e a conoscersi davvero».

All’estero cosa le manca della sua città?

«Il mare manca molto, così come la famiglia. Piatto preferito gli spaghetti alle cozze di nonna Gloria. Che si cucinano anche all’estero, ma non come li fa lei».

Quando torna ha tappe obbligate?

«Quando torno, la prima cosa che faccio è andare a trovare i miei fantastici nonni. Poi non può mai mancare un tuffo agli scogli piatti con le amiche di sempre, o una passeggiata notturna in giro per la città con cuffie e musica».

Si vede pensionata a Livorno?

«Mi piacerebbe tornare un giorno, ma non so se sarà possibile, dovrebbero cambiare molte cose. Come forse tante altre persone livornesi queer, ossia Lgbtiqa+, ho difficoltà a vedermi vivere una vita piena nella mia città, dove le persone come me non sono rappresentate: né nelle istituzioni, né per le strade. Non perché non esistiamo, ma perché ce ne siamo andate, o facciamo in sorta che non ci vediate. Spero che un giorno le cose cambino!».l

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