Livorno, la donna-murale divide la città. Il fronte del no: «È una patacca»
Duro il maestro Sardelli: «Rimbiancare subito». L’opera, alta 25 metri, è stata realizzata sulla facciata di un palazzo della Venezia
LIVORNO. «Secondo me è una patacca inguardabile». Il nuovo murale in corso d’opera in via Strozzi, in Venezia, non piace a Federico Maria Sardelli. Lui è un Leonardo Da Vinci dei nostri tempi. Classe 1963, musicista, musicologo, flautista, compositore eccelso e premiatissimo, è direttore d’orchestra di fama internazionale: la sua posizione netta è solo una delle molteplici critiche che in queste ore si stanno incrociando sui social cittadini.
La cosiddetta “donna collage” dell’artista californiano Aryz divide la città. Sono 25 metri sulla facciata di un palazzo della Venezia, operazione resa possibile grazie all’impegno dell’associazione labronica MuraLi, sostenuta da Castagneto Banca 1910, e promossa dal Comune di Livorno. Come ogni opera d’arte ovviamente c’è a chi piace. Ma il fronte del no è acceso. «Dal punto di vista pittorico lo trovo orrendo, ma ci saranno altre mille persone che possono apprezzarlo per com’è disegnato e colorato». Ma per l’artista il punto è un altro: «È il concetto che io contesto. Non si può imporre alla cittadinanza una enorme superficie dipinta e colorata in maniera dozzinale e chiassosa. Mi sembra una prevaricazione per chi passa da quel luogo. Per me il significato che l’autore vuole mandare è secondaria, ritengo che la forma sia sostanza». Poi la sua provocazione: «Sarei per rimbiancare. Il vero coraggio sarebbe rimbiancare i palazzi con murale del genere, come quello davanti alla Fortezza Vecchia con Mascagni dipinto».
C’è chi contesta la forma, e chi la sostanza. Il significato. Disturba l’immagine delle viscere che fuoriescono. Le costole. Così come non piace quel seno che non c’è. Una delle voci in questa direzione è Stefania D’Echabur, cittadina impegnata nel Consiglio di zona 2 e giornalista. «È un muro tinto di prepotenza e violenza inaudita. Bene in una galleria d’arte, non in un muro cittadino, sotto gli occhi di tutti».
D’Echabur 4 anni fa ha perso una figlia di 30 anni per un tumore. E vedere quest’opera la dispera. Le fa tornare alla mente il male che sua figlia, e che di conseguenza lei, hanno subito: «Vedere le viscere, le costole, i tendini della donna dipinta, vedere che il seno sembra esser stato smembrato, è qualcosa che trasmette morte, non è bellezza artistica». E torna sulla sua storia: «Sui pugni che la donna raffigurata tiene chiusi, le donne malate sanno che devono tenerli così. Chi è malato ha bisogno anche di tanta forza e bellezza. Quando ho visto il murale ho sofferto tutto il giorno. Sto pensando di avviare una petizione per farlo togliere».
Sul web le critiche si rincorrono. Si sa, l’arte è soggettiva. Luca Ribechini vede il murale dalla finestra di casa. Il suo commento è sul metodo attraverso cui l’opera è stata realizzata. «I murales su commissione mi mettono sempre tristezza. È arte di strada a comando. Mi viene in mente che il volto della giovane donna magari potrebbe essere un po’ adattato a quello che la strada sente e vuole che si rappresenti sui muri». E su cosa si potrebbe rappresentare attraverso la donna. «Una sana espressione di rabbia, perché non le hanno rinnovare il contratto, perché non le prendono il bimbo all’asilo, perché le hanno fissato la mammografia tra otto mesi».