Livorno, accoltella la moglie nel bosco e le rompe il braccio a bastonate
Muratore 42enne condannato a quattro anni e due mesi di reclusione
LIVORNO. Avrebbe picchiato più volte la moglie, anche davanti alla figlia diciassettenne, segregandola in casa e sigillando con un nastro da carrozziere le finestre. E in un’occasione, addirittura, l’avrebbe portata in scooter a forza nella boscaglia di Montenero Basso prendendola a bastonate, rompendole un braccio, accoltellandola e afferrando il laccio della sua tuta per metterglielo al collo come se fosse un cappio per soffocarla: «Chi sono gli uomini che fai venire in casa, dimmi la verità?». Per questo, un muratore albanese di 42 anni, è stato condannato a quattro anni e due mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia.
I fatti
I fatti sarebbero avvenuti nel maggio scorso e l’uomo, da allora, è in carcere in regime di custodia cautelare. L’episodio accaduto nel bosco sarebbe successo al culmine di una serie di inaudite violenze subìte dalla donna, che ha 38 anni, è connazionale del marito ed è sposata con lui da 18 anni. Il muratore, difeso dall’avvocato Luciano Picchi, non compare col nome e cognome per non rendere riconoscibile la vittima delle violenze. Fra gli alberi, lontano dagli occhi indiscreti, l’avrebbe anche minacciata con un coltello. Per portarla lì l’avrebbe «afferrata con forza – queste le accuse – trascinata fuori dall’abitazione, colpita con un pugno alla guancia sinistra e minacciata con un cacciavite chiedendole informazioni su ipotetici uomini da lei frequentati, al contempo urlandole offese e minacciandola di morte». Un’altra notte l’avrebbe invece presa a schiaffi, giorni prima invece graffiata al volto. Fra le ferite rilevate dai medici del pronto soccorso «la frattura dell’ulna destra, escoriazioni sull’occhio sinistro, ecchimosi nella parte sinistra del mento, graffi al collo, traumi al seno ed ematomi fra polso destro, fondoschiena, avambraccio destro e dita».
La richiesta di aiuto
Subito dopo il pestaggio, quello avvenuto nel bosco, la trentottenne si è rivolta al 112. Era in centro a Livorno quando l’ha raggiunta una volante della polizia di Stato. Era il 12 maggio scorso. «Da più di due anni mio marito fa uso di sostanze stupefacenti – le sue parole – e assume eroina e cocaina utilizzando una bottiglia di plastica con cannuccia annessa. Lo fa sempre nascondendosi nel bagno, anche se in casa ci sono i nostri due figli. Nei nostri confronti è sempre stata una persona autoritaria, ma ultimamente ha inasprito il suo comportamento. Per timore di ripercussioni verso i miei figli non ho mai avuto il coraggio di denunciarlo, ma ora la situazione è precipitata. Quel giorno (il 12 maggio ndr) mi sono svegliata, sono andata nel tinello e lui mi ha aggredita, accusandomi di aver dato appuntamento a due uomini. Capendo che non era in sé ho cercato di calmarlo, ma mi ha preso per i capelli, tirandomeli con violenza al punto di strapparmene una ciocca. Subito dopo mi ha ordinato di vestirmi e di andare con lui e farla finita una volta per tutte, dicendo che avrebbe ammazzato prima me e poi i nostri due figli».
A questo punto, il muratore, avrebbe preso il cellulare della donna, impedendole di chiedere aiuto: «Nel frattempo ho svegliato mia figlia, poi mi sono vestita velocemente e sono andata con lui in motorino per evitare problemi ai miei figli – prosegue il racconto –. Mi ha portato in una strada secondaria di Montenero Basso, mi ha fatto scendere dallo scooter e mi ha trascinato nella boscaglia, dove dapprima mi ha stretto al collo un laccio da tutta ginnica, che per fortuna sono riuscita ad afferrare con una mano impedendo che potesse stringerlo ulteriormente, poi lui ha preso in mano un grosso sasso minacciando di spaccarmi la testa, per poi impugnare un coltello, colpirmi alla mano sinistra e dietro l’orecchio sinistro mentre, subito dopo, mi ha colpito con un ramo d’albero in varie parti del corpo». Dopo il pestaggio, la donna, è stata accompagnata direttamente dal marito in piazza delle Carrozze, nella sede della Misericordia di Montenero, per essere poi trasferita in un ambulanza all’ospedale.
Il processo
Il quarantaduenne è stato condannato in rito abbreviato per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi a quattro anni e due mesi di reclusione. Era accusato anche di tentato omicidio, motivo per il quale la pm, titolare dell’inchiesta, Ezia Mancusi, per lui aveva chiesto la pena base di otto anni. Ma per il reato più grave è stato assolto dal giudice per le indagini preliminari Antonio Del Forno perché «il fatto non sussiste». L’uomo dovrà anche pagare le spese processuali, il suo mantenimento alle Sughere ed è stato interdetto per cinque anni dai pubblici uffici. Il suo avvocato, in attesa di leggere le motivazioni, valuterà il ricorso, senza il quale in base alla Riforma Cartabia la pena potrà ridursi ulteriormente di un sesto del computo totale.