Morì travolto da due auto pirata, risarcita la famiglia di Jacopo: «Non c’importa, non c’è giustizia»
Il 16enne ucciso in scooter nella carambola con due auto-fantasma nel 2017 . “Fondo di garanzia delle vittime della strada” condannato a pagare 1 milione, ma i responsabili se la sono cavata
LIVORNO. Un dolore tanto grande non può avere un prezzo. E questa è una certezza che non ha nulla a che vedere con la retorica. Perché il valore della vita di un ragazzo di neanche 17 anni non può essere quantificato in euro con il freddo linguaggio di una sentenza. Che non riporta indietro Jacopo Pieri. Non punisce i responsabili della sua morte. Non porta pace nei cuori di mamma Ombretta e babbo Andrea. Non lenisce neanche una parte del dolore di una famiglia che in qualche modo è morta insieme a lui, quando l’orologio segnava le 00,25 del 4 marzo 2017.
I responsabili l’hanno fatta franca
Duemilasettecentosessantanove giorni dopo è arrivata la sentenza del Tribunale di Livorno, che condanna il Fondo di garanzia delle vittime della strada a risarcire i familiari del ragazzo ucciso mentre tornava a casa in scooter, dopo gli allenamenti. Sì, ucciso.
Perché le disgrazie, purtroppo, possono accadere . Ma è inaccettabile che coloro che sono coinvolti, prima se ne vadano lasciando sull’asfalto un ragazzo in fin di vita; e poi, in sette anni e mezzo, non abbiano un rimorso di coscienza tale da spingerli ad alzare la mano, a presentarsi alle forze dell’ordine per dire “voglio raccontare cos’è accaduto quella sera”, anche “soltanto” per togliersi egoisticamente un macigno dal cuore. Non è accaduto finora e quasi sicuramente non accadrà più. I coinvolti, almeno per la giustizia, l’hanno scampata.
Silenzi e omertà
L’indagine – costellata di colpi di scena, speranze, appelli, testimoni che si sono all’allontanati dopo l’incidente (una cinquantenne su un’utilitaria grigia aveva raccontato di aver visto “volare” un ragazzo, per poi andarsene prima dell’arrivo dei soccorritori) e poi si sono contraddetti, accertamenti su 500 auto (senza successo) – è stata archiviata il 27 maggio 2019, quando la Procura, complici gli scarsi elementi in mano, ha deciso di non chiedere il rinvio a giudizio dell’unico automobilista indagato, finito sotto inchiesta dopo che il modello e la targa della sua auto erano state indicate in una lettera anonima arrivata alla polizia municipale tre giorni dopo l’incidente mortale.
E anche le telecamere non hanno offerto il supporto sperato: le uniche immagini disponibili sono quelle della videosorveglianza della Tecnospurghi di via Cimarosa, distante qualche centinaio di metri dal luogo dell’incidente. Ma si vedono soltanto dei bagliori, o poco più.
La ricostruzione
E quindi è finita così: prima con l’archiviazione penale, e ora con il risarcimento – di circa un milione di euro – in sede civile, stabilito dalla sentenza di primo grado. Che ripercorre tutta la vicenda. Riavvolgendo dolorosamente il nastro alla sera del 3 marzo 2017, intorno alle 20, 30, quando all’incrocio tra via Sicilia e via Bedarida arriva Jacopo Pieri, 16 anni (ne avrebbe compiuti 17 l’11 aprile), in sella al suo scooter Kymco Super 8. Gioca nella Pro Livorno Sorgenti, ha appena finito gli allenamenti e sta tornando a casa, nella zona del Borgo di Magrignano.
Dove non arriverà mai. Perché sulla sua strada incrocia “due veicoli a motore rimasti non identificati al pari dei rispettivi conducenti”.
Pino, come lo chiamavano gli amici, viaggia “a moderata velocità (circa 40/45 km/h) lungo il margine destro della via Sicilia, diretto verso il quartiere Salviano”. Ma si ritrova di fronte un veicolo (“presumibilmente un’auto”) , proveniente da via Bedarida che “giunto in corrispondenza dell’intersezione con la via Sicilia svoltava improvvisamente verso sinistra, in contromano, andando a urtare lo scooter sul fianco destro”.
Nel tentativo di evitare l’urto – si legge ancora nella sentenza – “si spostava verso la propria sinistra perdendo il controllo dello scooter, andando a urtare violentemente contro la spalla dello pneumatico di un secondo veicolo in fase di frenata o addirittura già fermo, anch’esso non identificato, che al pari del primo veicolo si allontanava dal luogo teatro del sinistro”. Poche ore dopo Jacopo muore “in conseguenza delle gravissime lesioni riportate”.
Ma il Fondo di garanzia delle vittime della strada aveva rigettato la richiesta di risarcimento, «non potendosi ritenere certo e provato, l’effettivo coinvolgimento e la responsabilità concorrente di due veicoli rimasti non identificati nelle causazione del sinistro, stante la mancanza di elementi oggettivi che consentano una ricostruzione univoca del sinistro e l’attribuzione certa delle responsabilità». In sostanza, Jacopo poteva aver fatto tutto da solo.
Il verdetto
Una tesi respinta al mittente dal giudice, secondo il quale “le risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio e medico legale hanno consentito di costruire in maniera logica, chiara e immune da vizi la dinamica del sinistro e il nesso con la morte di Jacopo, per cui le circostanze descritte dagli attori e dagli intervenuti, coincidono con quanto accertato in sede di indagini preliminari e nel presente giudizio alla luce delle valutazioni operate dai consulenti d’ufficio nominati da questo Tribunale”. Per questi motivi il giudice ha condannato il Fondo di garanzia delle vittime della strada a pagare complessivamente circa un milione di euro di risarcimento ai familiari di Jacopo (genitori, sorella, nonno ed eredi della nonna, nel frattempo defunta), oltre alle spese (circa 60mila euro).
Giustizia impossibile
«Qualsiasi risarcimento non ci fa né caldo né freddo, perché quella sera abbiamo smesso di vivere insieme a Jacopo». Nedo Di Batte è il nonno materno della vittima. Ha perso un nipote in circostanze tragiche, ha visto la famiglia dilaniata da un dolore troppo grande: «È stata una sciagura. E ancora mi chiedo come facciano i responsabili e coloro che hanno visto qualcosa a vivere con questo macigno sullo stomaco».
Ormai prevale un sentimento di rassegnazione, figlio della consapevolezza che chi avrebbe dovuto fare un passo avanti e non l’ha fatto in sette anni e mezzo, non lo farà adesso: «Volevamo giustizia – conclude nonno Nedo – ma a questo punto sarà impossibile averla».