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Sicurezza

Pacco al detenuto con il drone: così prova a consegnare telefono, droga o armi nel carcere di Livorno

di Stefano Taglione

	Una veduta del carcere livornese (foto Franco Silvi)
Una veduta del carcere livornese (foto Franco Silvi)

Non è la prima volta che accade, il direttore: «Ora serve un sistema radar di difesa»

04 ottobre 2024
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LIVORNO. Hanno tentato di far arrivare un drone nel carcere di Livorno per una consegna. Droga, un telefonino, una pistola? Tutte possibilità plausibili secondo il direttore Giuseppe Renna: «Qui gli avvistamenti sono continui – spiega – e i dispositivi vengono utilizzati per portare, ad esempio, merce proibita all’interno delle mura come stupefacenti, cellulari, anche armi ai detenuti». Una spedizione in volo, in piena notte, dal contenuto segreto, ma sicuramente illegale. L’allarme fra giovedì scorso e ieri è scattato grazie a un agente che ha visto muoversi qualcosa per aria, con l’intervento immediato delle volanti della questura, che non sono riuscite a localizzarlo.

Il carcere si “arma”

Consegne proibite, difficili da intercettare, che ora costringono l’amministrazione penitenziaria a correre ai ripari. «Non è la prima volta che accade – prosegue Renna – per questo dovremo dotarci di sistemi di difesa. Questi dispositivi, con la posizione impostata da chi li pilota, purtroppo possono essere molto precisi». L’obiettivo è installare – al costo di qualche decina di migliaia di euro – un apparato per intercettarli, ad esempio un “cannone” che spara un segnale radio inibitore in grado di forzare l’atterraggio del drone, che deve essere prima localizzato e poi investito dal raggio di onde. Un’operazione non facile, dal momento che i dispositivi aerei – bastano quelli in commercio modificati ad hoc – sono piccoli, silenziosi e rapidi negli spostamenti. Inoltre, chi li guida può rimanere a una distanza di sicurezza, anche un chilometro, al riparo da occhi indiscreti. E agisce in pochi minuti, sorvolando il penitenziario e sganciando la droga, il telefonino o l’arma per poi volare indietro, magari atterrando in un punto diverso da quello del decollo, dove c’è un complice pronto a sparire.

Le telecamere ko

Dispositivi di protezione che verrebbero installati in un ambiente, quello del carcere di Livorno, che già nel recente passato ha dato prova di preoccupanti falle. Renna, che si è insediato da pochi mesi, si è impegnato in prima persona per risolverle, ma serve tempo. Innanzitutto, dall’alluvione del 2017, le telecamere sono ko: il “cervellone”, sotterraneo, è stato allagato dall’ondata di acqua e fango che in città ha provocato otto morti e tanta distruzione, danneggiando anche l’infrastruttura tecnologica del penitenziario. Mai riparata. Da allora, l’occhio elettronico, è guasto. E l’evasione avvenuta nel giugno scorso del detenuto dell’alta sicurezza Umberto Reazione, il trentaseienne catturato in meno di 48 ore alla stazione di Roma Tiburtina mentre stava tornando nella sua Campania, ne è la prova lampante. Nessuno lo ha visto: né gli impianti di videosorveglianza, appunto inutilizzabili, né gli agenti che sono sottorganico (mentre i detenuti sono 252 in 180 posti, secondo i dati del ministero della Giustizia) e in quel momento non potevano presidiare le mura. Reazione, per scappare, ha scavalcato due pareti durante l’ora d’aria usando un lenzuolo come corda (non ci sono neanche i sistemi d’allarme anti-scavalco) ed è fuggito per i campi.

«La sfida del futuro»

«Prevenire l’avvicinamento dei droni – conclude Renna – è una delle sfide del futuro. Non è un problema solo livornese, ma di tutti i penitenziari. Certo, qui gli avvistamenti sono continui ed è per questo che ho deciso di correre ai ripari. Ci attrezzeremo». Servirà un po’ di tempo ancora, ma la strada è tracciata. Del resto, negli ultimi mesi, le segnalazioni da questo punto di vista si sono moltiplicate un po’ in tutta Italia. E Le Sughere potrebbe diventare l’avamposto italiano della “guerra carceraria” ai droni.  

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