Il Tirreno

Livorno

L’inchiesta

Banda dei furgoni in Toscana, le intercettazioni: «Le targhe le dai a zio Mario, ok?»

di Stefano Taglione
In alto a sinistra i ladri mentre rubano un furgone. A destra sopralluogo dei carabinieri in un deposito
In alto a sinistra i ladri mentre rubano un furgone. A destra sopralluogo dei carabinieri in un deposito

Gli Iveco Daily sarebbero stati “ripuliti” in un deposito di Lavaiano, nel Pisano

30 settembre 2024
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LIVORNO. «Le targhe dei furgoni te le rimandiamo noi e poi ce le fai avere da zio Mario, ok?». È uno stralcio d’intercettazione, non certo l’unico, captato dai carabinieri del nucleo investigativo di Livorno durante le lunghe e complesse indagini avviate per sgominare la banda dei “furgoni”, le sei persone arrestate due giorni fa che – secondo l’accusa – avrebbero messo in pratica una macchina organizzatissima, e consolidata, in grado di rubare 40 mezzi pesanti (oltre a una Fiat Panda) fra Livorno (16), Vicarello (uno), Pontedera (tre), Empoli (tre), Scandicci (uno), Sesto Fiorentino (uno), Cascina (quattro), Pisa (cinque), Calcinaia (uno) e Forte dei Marmi, in Versilia, dove è sparito una Fiat Ducato, per riciclarli in Polonia. Altri sono stati sottratti, invece, fuori regione: fra Ravenna, San Marino, Pesaro e Gabicce Mare.

L’intercettazione

Ed è proprio con un imprenditore polacco, stando alla ricostruzione degli inquirenti, che starebbe parlando uno degli indagati. È il sessantaseienne Carlo Minio (originario di Lucera, in provincia di Foggia, e residente a Termoli, in Molise), che all’alba di venerdì scorso gli uomini comandati dal maggiore Guido Cioli, insieme ai colleghi di Campobasso, lo hanno portato in carcere. I veicoli rubati avrebbero fatto la spola fra l’Italia e la Polonia, attraversando il confine di Stato a Tarvisio.

Gli investigatori, infatti, hanno ricostruito il percorso sia con i pedinamenti, che con le analisi delle celle telefoniche.

Gli indagati

Oltre a Minio, i militari dell’Arma hanno arrestato nel Foggiano il quarantacinquenne Matteo Cappellari, il trentasettenne Antonio Dipaola, il trentaduenne Michele Gaetano Colucci e il ventitreenne Alessandro Montemarano, tutti originari del comune pugliese di Cerignola e ritenuti responsabili dei reati di furto pluriaggravato, autoriciclaggio, falsità materiale commessa dal privato e uso di atto falso. I quattro – stando alle valutazioni del pubblico ministero Massimo Mannucci – si sarebbero occupati materialmente di rubare i furgoni, appostandosi fuori dai locali e dalle aziende per poi agire con estrema rapidità, aprendo le portiere e manomettendo le centraline dei mezzi e i localizzatori gps per non essere rintracciati. Con loro, in manette, pure il cinquantacinquenne Antonio Nardella (l’unico dei cinque che non è in carcere, ma ai domiciliari, nato a Manfredonia, in Puglia, e residente nel comune di Palata, in provincia di Campobasso). Quest’ultimo estraneo ai furti, è chiamato in causa per la successiva "esportazione" dei veicoli all’estero, in Polonia, e sono indagati per riciclaggio, falsità materiale commessa dal privato e uso di atto falso. Il reato di riciclaggio è stato ipotizzato anche per Colucci e Montemarano.

Il deposito

L’indagine non è comunque finita: sono in corso ulteriori approfondimenti sia sull’imprenditore polacco che avrebbe ultimato i lavori sui furgoni da ripulire – trenta sono Iveco Daily – sia sul deposito di Lavaiano, nel comune di Casciana Terme, dove sono state trovate delle targhe e che probabilmente era un centro di “pulizia” dei veicoli. 


 

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