Il Tirreno

Livorno

Il racconto

Catalin, morto nella baracca a due passi dalla Fi-Pi-Li: «Il mio amore divorato dalle fiamme nel giorno del compleanno»

di Claudia Guarino

	Nadya e Catalin
Nadya e Catalin

Viveva con la compagna che lavora come badante: quelli assi di legno in mezzo ai campi sotto al viadotto erano diventate la loro casa

04 settembre 2024
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COLLESALVETTI. Tutto ciò che resta della sua vita è una valigia vuota. Eccola lì, al di sotto del cavalcavia ai margini di Livorno. Si fa largo tra i detriti di una baracca andata in fumo che per lei era casa. «Io ero al lavoro stanotte». Nadya non si dà pace per il suo Catalin. «Lui era solo. Mi hanno chiamata alle 2. E mi hanno detto che era morto». È rimasto intrappolato nella baracca in fiamme dove viveva con la compagna, Catalin Mocanu. È morto bruciato, il giorno del suo compleanno. Accanto al boschetto che svetta a due passi dalla ferrovia. «Ho visto che portavano via il corpo. Ora non ho più niente». Su cosa esattamente sia successo ci sono indagini in corso e al momento non ci sono elementi sufficienti per formulare un’ipotesi anziché un’altra. Quel che resta è il dolore della compagna per una tragedia che si è consumata ai margini di un cono d’ombra. In un luogo dove le luci della città non arrivano.

Le baracche

Siamo a Stagno, nel comune di Collesalvetti, a due passi da Livorno. Ed esattamente sotto al viadotto che funge da bretella per la Fi-Pi-Li. Lì, a due passi dal canale dello scolmatore, c’è un boschetto vissuto. Perché oltrepassando gli alberi spuntano, a una a una, baracche di fortuna abitate prevalentemente da stranieri. Ultimamente ne erano rimaste poche: quella di Catalin e Nadya, appunto, e l’alloggio di una donna polacca che vive insieme alla figlia. Quello è un accampamento noto a chi vive sul territorio. La coppia (entrambi romeni) abitava lì da oltre dieci anni, come racconta la stessa Nadya, che per guadagnarsi da vivere lavora come badante. Qualche volta i presenti venivano sgomberati dalla polizia, ma poi tornavano sempre. Ed è lì, in quell’annesso di fortuna, che Catalin si trovava nella sera di martedì 3 settembre. Solo, perché la compagna era al lavoro. «L’ho visto l’ultima volta intorno alle 20,30 – racconta –. Poi probabilmente è andato a dormire».

Le fiamme

È passata da poco la mezzanotte quando due amici (un volontario della Pubblica Assistenza di Collesalvetti e uno della Misericordia di Montenero) passano nelle vicinanze del cavalcavia e notano la luce. «Le fiamme erano altissime – raccontano –. Arrivavano fino al ponte». A quel punto danno l’allarme e aspettano i soccorsi in zona. Ecco i vigili del fuoco che, quando arrivano, trovano l’incendio quasi estinto perché non esisteva praticamente più niente da bruciare. C’erano però varie bombole di gpl e delle bombolette da campeggio, alcune delle quali scoppiate. «Abbiamo sentito i botti», raccontano i volontari. «Lì ci vive una coppia – ha detto ai pompieri un’abitante dell’accampamento –, lui era dentro. L’ho visto intorno alle 22».

Il corpo

E così era. Perché, a fiamme spente, tra le ceneri del giaciglio spunta un corpo carbonizzato. È quello di Catalin Constantin Mocanu, 55 anni compiuti proprio martedì 3 settembre. Arrivano dunque l’ambulanza della Società volontaria di soccorso e l’automedica. E arriva anche la polizia. La baracca è completamente bruciata dunque è difficile capire dove si trovi l’innesco. Le fiamme potrebbero essersi diffuse da un fornello da campeggio rimasto acceso, per esempio, ma su questo non c’è certezza. E sebbene il contesto faccia pensare più a una sorta di incidente domestico, non è d’altra parte possibile escludere completamente il dolo. Certo è che, una volta portata via la salma, in quel fazzoletto di terra ai margini del mondo resta solo la cenere. Di una capanna che era diventata casa. E della vita di una famiglia. Ora Nadya non sa dove andrà. Né cosa farà. E guarda il vuoto, mentre siede accanto ai girasoli gialli che fanno capolino dal vaso di quello che, col tempo, era diventato un cortile colorato.

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