Il Tirreno

Livorno

La storia

Così quarant’anni fa Livorno beffò il mondo intero: le teste di Modì e quello scherzo labronico sopraffino

di Maria Teresa Giannoni
Nella foto i tre autori. A sinistra Ghelarducci, Luridiana e Ferrucci con la testa della beffa
Nella foto i tre autori. A sinistra Ghelarducci, Luridiana e Ferrucci con la testa della beffa

Il 24 luglio 1984 nei fossi furono ripescate le teste scolpite da tre studenti e in tanti le credettero originali. Tutto nacque da una leggenda su Amedeo Modigliani

24 luglio 2024
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LIVORNO.  Era caldo parecchio anche quell’estate del 1984. E Livorno era anche preda di una strana febbre: quella dell’arte. Quarant’anni dopo la storia delle false teste di Modì ripescate nel Fosso Reale resta uno di quegli avvenimenti che tutti conoscono, anche chi allora non era ancora nato.

La leggenda

Livorno si era ritrovata nel giro di poco tempo al centro dell’attenzione mondiale per via di una leggenda legata al suo figlio più leggendario di tutti: Amedeo Modigliani. Dedo era tornato a Livorno da Parigi per respirare un po’ d’aria di mare nell’estate del 1909, aveva preso in affitto uno studio dentro il Mercato delle Vettovaglie e si era messo a scolpire furiosamente. Ma quando aveva mostrato le sue opere fresche di scalpello agli amici artisti del Caffè Bardi lo avevano preso in giro, non lo avevano capito. E lui insoddisfatto e rabbioso aveva buttato le sue opere nel Fosso Reale.

A questa leggenda aveva finito per credere l’amministrazione comunale livornese nel 1984 – sindaco Alì Nannipieri, Claudio Frontera assessore alla cultura - tanto che si era deciso di andarle a cercare nel fosso quelle opere che Modì aveva buttato via.

La ricerca

Non era un’idea nata all’improvviso, il fatto è che Livorno voleva celebrare i cent’anni della nascita di Modigliani nel modo migliore e già aveva organizzato nelle sale di Villa Maria – dove avrebbe dovuto svilupparsi il Museo Progressivo di Arte Moderna – una mostra con alcune delle rarissime sculture dell’artista: cercare anche quelle che aveva gettato nel fosso era sembrato come inseguire un sogno.

Erano gli anni in cui a Roma Renato Niccolini organizzava l’estate romana, si respirava una voglia di utopia che forse aveva contagiato anche Livorno.

La mostra a Villa Maria si era aperta il primo luglio, era stata voluta e organizzata con grande caparbietà dall’allora direttrice dei musei livornesi Vera Durbé, l’aiutava suo fratello Dario Durbé, direttore della Galleria di Arte Moderna di Roma e studioso dei macchiaioli.

La draga

La draga si mise al lavoro il 14 luglio nel tratto tra il ponte di piazza Cavour e il ponte di San Benedetto. Il braccio della ruspa scavava sul fondo, tirava su vecchi carretti, biciclette.

Tanti curiosi sulla spalletta, in città non si parlava d’altro, tutti avevano sulla bocca quel sorriso incredulo tipico dei livornesi che però muoiono dalla curiosità. Poi cominciarono ad arrivare le troupe tv anche se ancora non stava succedendo niente. Fino a che il 24 luglio la benna tirò su una pietra e poi un’altra e dopo qualche giorno ancora un’altra. Erano pietre scolpite, volti.

Tv da tutto il mondo

Arrivavano telecamere da tutto il mondo. Giornalisti stranieri chiedevano ospitalità al Tirreno per scrivere i loro “pezzi”. Era scoppiato un pandemonio: tutti a gridare al miracolo, i maggiori critici d’arte osannavano quelle pietre abbozzate. Gente come Giulio Carlo Argan, Renato Barilli, persino Cesare Brandi e Carlo Ludovico Ragghianti erano tutti entusiasti. Vera Durbé era al settimo cielo, mentre suo fratello Dario a tempo di record preparava il catalogo “Due Pietre Ritrovate di Amedeo Modigliani”, con tanto di foto e commenti di eminenti esperti.

Anche il giovane Vittorio Sgarbi era convintissimo dell’autenticità delle teste.

La morte di Jeanne

Fuori dal coro c’erano solo Federico Zeri e Carlo Pepi, il collezionista di Crespina che negli anni è diventato il più abile scopritore di falsi quando si tratta di opere di Modigliani.

Alla vicenda non mancò neppure il tocco “noir” di una morte misteriosa. La figlia di Modigliani, Jeanne, informata del ritrovamento quando era ancora a Parigi si mostrò subito scettica e comunque chiese che la verifica sull’autenticità «indipendentemente dall’emotività», venisse gestita da un comitato di esperti, con metodo comparativo. «Sarà mia cura partecipare ai lavori», fece sapere. Peccato che a Livorno Jeanne non arrivò mai: proprio alla vigilia della partenza perse la vita precipitando dalle scale di casa…

La beffa

Tutto era pronto per la presentazione del catalogo a Villa Maria quando arrivò la notizia che il settimanale Panorama stava per uscire con uno scoop incredibile: tre ventenni livornesi Pier Francesco Ferrucci, Michele Ghelarducci e Piero Luridiana, avevano rivelato di essere gli autori di una delle teste ripescate. L’avevano fatta in giardino con il Black & Daker e si erano fatti fotografare in posa con la pietra prima di andare a gettarla nel fosso così per il gusto di fare uno scherzo, convintissimi che se anche la gru l’avesse tirata su nessuno avrebbe creduto che fosse una vera scultura di Modigliani. Il massimo che speravano era finire sul Tirreno in un articoletto sulla loro bravata. E invece no, tutti quei professoroni erano proprio convinti che fosse autentica.

I tre ragazzi furono invitati in televisione e realizzarono in diretta un’altra testa giusto per mostrare come avevano fatto.

Le altre teste

Nacquero dibattiti a non finire, erano rimasti tutti allibiti, le cose si complicarono ancora di più quando giorni dopo venne fuori un certo Angelo Froglia, lui sì pittore e scultore, che aveva dichiarato di aver realizzato le altre teste con l’intenzione di denunciare «la manipolazione di massa attraverso i media». Ma la sua impresa passò in secondo piano, bruciata sul tempo dalla rivelazione dei tre ragazzi.

I tre autori

Ci volle del tempo prima che si spegnessero i riflettori sulla vicenda e la reputazione di molti studiosi fu irrimediabilmente compromessa. Solo i tre ragazzi ne uscirono alla grande: il loro spirito, la loro ironia e la loro intraprendenza suscitarono fin da subito grande simpatia. Nella vita si sono affermati ognuno in un campo diverso: Ferrucci è un importante oncologo, con un curriculum e una sfilza di incarichi che fanno impressione, Luridiana lavora nell’informatica, Ghelarducci nel settore delle spedizioni. Non hanno mai rinnegato la loro impresa, Caparezza ci ha fatto sopra una canzone e qualcuno ha pensato di realizzare un film. E col tempo Livorno ha smesso di sentirsi in imbarazzo per essere stata teatro di tanta confusione: dalla burla delle teste di Modì alla fine ha avuto un ritorno di immagine come patria di libertà e di arguzia: tra tutte le città toscane è quella che quando la senti nominare ti strappa un sorriso.




 

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